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Dossier Per l’Italia bisogno di convergenza

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    Dossier | N. 19 articoliFlat tax

    Per l’Italia bisogno di convergenza

    (Marka)
    (Marka)

    Avevo visto giusto quando avevo osservato che la proposta di istituire una Flat tax era preordinata a influenzare le prossime elezioni politiche. La conferma viene da Angelo Panebianco (sul «Corriere della Sera» del 21 luglio, un osservatore fra i più cauti nel novero degli editorialisti italiani. Dunque la Flat tax viene concepita come supporto a una concezione della politica interamente fondata sulla libertà. La Repubblica italiana dovrebbe essere fondata sulla libertà e non sul lavoro. Dunque la tutela del lavoro come causa di tutti i malanni che ricorrono nel nostro Paese. La Costituzione andrebbe riformata non tanto sulla seconda parte, ma sulla prima, dove la libertà dovrebbe essere concepita come principio senza limiti. Ora chi legge la Costituzione sa che la libertà, anzi le libertà, vengono tutte contemplate senza limiti.

    Ma per i conflitti delle libertà con altri principi della Costituzione la mediazione viene operata dal Parlamento e dalla Corte Costituzionale, che è prevalentemente orientata alla tutela delle libertà. Abbiamo una superattuazione della Costituzione, scriveva Vezio Crisafulli. Nella Costituzione esiste non solo la tutela delle libertà ma quella dei doveri (art. 2) che è garanzia della convivenza civile. E tutto ciò non piace a Panebianco.

    La verità è che a fianco alla Costituzione scritta esiste una costituzione materiale i cui attori sono le classi dirigenti politiche.

    Da quando si parla di riforma della Costituzione, si sono formate diverse commissioni parlamentari e soprattutto c’è stato un referendum costituzionale che è stato solamente (e fortunatamente) bocciato dall’elettorato italiano.

    Questa concezione del sistema politico tutto fondato sulla libertà (io preferirei parlare di libertà al plurale) è una astrazione perché c’è l’altra faccia della libertà, la limitazione della libertà per consentire la libertà di tutti. E poi questa concezione della libertà come priorità assoluta a chi verrebbe affidata se non alla classe politica, al Parlamento e alla Corte Costituzionale? E non mi pare che ci sia oggi una classe politica capace di formare un governo, c’è da chiedersi come può essere capace di riformare la Costituzione. Per riformare la Costituzione si richiedono forze politiche che convergono sulle priorità che si vogliono perseguire.

    Oggi c’è bisogno di una convergenza e non di una divergenza che spacchi il Paese. La Flat tax può essere solo conseguenza di una riforma, non la premessa posta nell’interesse di una parte del Paese. Ma, partendo dalla Flat tax, Panebianco allarga il discorso pervenendo a conclusioni fortemente discutibili. Con la Flat tax, egli scrive, si prende congedo dalle ideologie socialisteggianti che hanno segnato i secoli diciannovesimo e ventesimo. Mi pare che questo giudizio sia infondato almeno per quanto riguarda la politica tributaria. Difatti, va ricordato che le vicende che hanno portato alla progressività italiana partono dal Codice di Camaldoli, redatto da un gruppo di giovani cattolici. Il Codice di Camaldoli influenzò la Costituzione e i primi programmi della DC, soprattutto con Ezio Vanoni. La riforma tributaria del 1971, preparata dia Vanoni (che ebbe il pieno appoggio di Einaudi e di De Gasperi), fu disegnata da Cesare Cosciani e attuata da Bruno Visentini, fior di liberali, che tentarono di combinare la libertà economica con la giustizia sociale. Il disegno di Visentini fu guastato dalle politiche che si sono succedute in Italia con scelte non criteriate e che hanno portato alla situazione attuale. Ho criticato la Flat tax non per ragioni ideologiche ma come studioso, inquadrando la nozione di tributo e la progressività nell’art. 2 della Costituzione. Non ho niente a che vedere con le ideologie socialiste anche perché non so quali siano. I miei punti di riferimento sono stati De Gasperi e soprattutto Vanoni, uomini concreti che hanno posto le basi della democrazia in Italia. Che poi la politica delle alleanze, prima di tutto con i partiti liberali e poi con i socialisti, voluta da De Gasperi, non piaccia a Panebianco, è una questione di gusti, purché si riconosca che altro non si poteva fare.

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