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Atenei pronti a mutare paradigma

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il dibattito sull’università

Atenei pronti a mutare paradigma

(SintesiVisiva)
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Credo che oggi, più che mai in passato, le università siano chiamate a rispondere ai problemi del presente in maniera organica, strutturata e condivisa. Blocchi normativi, conflitti geopolitici, insufficienza di risorse, accelerazione sincopata di eventi e informazioni: è questo il quadro in cui i centri tradizionalmente deputati allo sviluppo e alla promozione dell’alta formazione si trovano a operare.

Niente di più lontano dalla realtà, oggi, l’immagine del “tempio del sapere”, dell’eburneo fortino che custodiva tutte le risposte.

Oggi gli Atenei hanno il compito di uscire dalle aule, generare conoscenze aperte e interdisciplinari, promuovere un cambiamento sociale e culturale “positivo”, incidere con i risultati della ricerca, proporre soluzioni e collaborare con la società civile, le istituzioni, il sistema produttivo.

Serve una presa di coscienza profonda, un approccio inclusivo e cooperativo per la rinascita del dialogo, la costruzione di una “positive society” e il superamento delle criticità dell’attuale scenario.

A essere in crisi è proprio quella cultura della globalità che ci ha portati sino a qui. Le ragioni sono tante, intrecciate e complesse. Le strategie del terrore favoriscono la chiusura dei popoli e la costruzione di muri.

È un mondo certificato come insostenibile, il nostro, un mondo in cui vivono 800 milioni di poveri (ben 4,6 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta solo in Italia). Ancora, 795 milioni di persone soffrono la fame, 57 milioni di bambini sono esclusi dall’istruzione primaria e soltanto 10 sono i Paesi esenti da conflitti.

Stiamo bruciando il nostro avvenire e a farne le spese, drammaticamente, sono anche la produzione scientifica, gli scambi interculturali, il movimento di studenti, ricercatori e docenti. E questo accade in un momento storico cruciale, in cui invece l’imperativo è varcare i confini, creare occasioni anche inedite di scambio e conoscenza, inventarsi nuove strade per “fare cultura”.

Dobbiamo andare oltre per scongiurare il rischio di paralisi culturale, dobbiamo produrre, tutelare e divulgare il sapere come via privilegiata per il dialogo, usando la Terza missione come volano per l’innovazione sociale e come ponte per colmare il divario tra scienza e società, trasformando gli atenei, i centri di ricerca e le istituzioni scientifiche in motore del cambiamento.

Summit internazionali, occasioni di studio e confronto reciproco invocano quel ruolo cruciale che deve essere affidato alle Università nella promozione della pace e dello sviluppo sostenibile. Quello stesso sviluppo sostenibile al centro dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: la messa in campo di azioni tendenti al raggiungimento dei 17 obiettivi individuati ha in sé il potere di incidere sul presente e sul futuro, e di fungere da collante in uno scenario, in primis quello europeo, che appare tristemente fratturato.

È necessario promuovere una visione condivisa, e tradurre quella stessa visione in azione. Oggi, più che mai c’è bisogno di tolleranza. Una tolleranza a 360 gradi, una tolleranza che possa valicare i confini tradizionali e sia insieme culturale, scientifica, tecnica, artistica. Una tolleranza che è un nuovo modo di approcciarsi al presente per costruire un futuro migliore da consegnare ai nostri giovani.

Per fare realmente innovazione sociale e produrre vero cambiamento occorre trovare risposte fattive, coinvolgere i nostri studenti, i futuri leader di domani, e imparare insieme ad adottare nuovi modelli virtuosi, dalle scuole alle aule universitarie.

Perché il mondo, come recita un vecchio detto africano, non è una eredità dei nostri padri, ma un prestito che abbiamo ricevuto dai nostri figli.

È ora che servono soluzioni operative fuori dagli schemi classici: è infatti una Università nuova quella che si sta formando sotto i nostri occhi, quella che lancia proposte innovative in grado di raccogliere intorno a uno stesso tavolo tutti gli attori del cambiamento. Basti qualche esempio.

Con lo “spin in”, l’Accademia “chiama” l’impresa a realizzare sinergie operative destinate a dare forma a idee imprenditoriali, a modelli operativi più all’avanguardia, spostando l’asse dal “sapere” al “saper fare”. Con questo modello le Università possono divenire concreto punto di riferimento per il tessuto imprenditoriale di un dato territorio, offrendo competenze e servizi avanzati per il miglioramento di prodotti e processi.

E ancora: con il “brain exchange”, le Università insieme alle istituzioni e ai sistemi produttivi locali possono lavorare per costruire una nuova cassetta degli attrezzi contro il “brain drain” e a favore di uno sviluppo del capitale umano più equilibrato tra Nord e Sud del mondo (come nel caso dell’ipotesi di realizzazione un circuito “Erasmus per l’Africa”) o d’Italia (per rispondere alle sfide del nostro Mezzogiorno, in coerenza con il Decreto Sud e il piano nazionale Industria 4.0, mediante il disegno di azioni che favoriscano l’opportunità di studio o esperienze di lavoro nelle regioni meridionali).

In poche parole: per realizzare queste e altre soluzioni innovative, per incidere positivamente a livello macro o locale, per essere reale motore di cambiamento serve mettere in moto un circolo virtuoso. Compito certamente complesso, complicato, ma necessario e stimolante. È questa già oggi la nostra missione.

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