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Dossier Sapere quanto si paga porta a più lealtà fiscale

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    Dossier | N. 19 articoliFlat tax

    Sapere quanto si paga porta a più lealtà fiscale

    (Marka)
    (Marka)

    Grazie all’Istituto Bruno Leoni (si veda Il Sole 24 Ore del 25 giugno), l’Italia ha una proposta organica di revisione complessiva del sistema fiscale. Tema urgente perché, dopo 4 decenni di aggiustamenti disordinati e parziali, oggi nessuno sa più bene quante tasse paga e perché.

    Ho l’impressione che il punto centrale della riforma non sia il pure accattivante 25% dell’aliquota unica. Vedo, piuttosto, alcuni elementi di potenziale, profonda maturazione del nostro sistema fiscale, propedeutici a un vivere davvero più civile: (a) l’intento di dare consapevolezza ai contribuenti del peso del loro “contributo” per ciascuna base imponibile in cui si articola il sistema - l’aspetto più rilevante della proposta, che ha natura culturale prima che economica, (b) l’esigenza di semplificazione del sistema con meno tributi e meno spese fiscali, (c) un sostegno alle famiglie che guarda esclusivamente alle condizioni di reddito e di composizione del nucleo e, infine (d) l’arretramento ordinato e ragionato dello Stato nella gestione di alcuni servizi pubblici che verrebbero pagati secondo il reddito.

    Con la proposta in discussione, l’Irpef tornerebbe un’imposta sul reddito, smettendo di essere, come oggi di fatto è, un’imposta sul reddito da lavoro. E anche le rendite sarebbero tassate alla medesima aliquota, compresi i proventi derivanti dalla detenzione di titoli del debito pubblico, oggi tassati, per opportunismo, al 12,5%, compresi i rendimenti ottenuti dai Fondi Pensione, tassati oggi al 20%.

    Questa omogeneizzazione delle aliquote piace a prescindere dal numero che la identifica: sapere quanto si paga è un passo imprescindibile anche per una maggiore lealtà fiscale.

    Nutro alcuni dubbi che spero possano essere chiariti durante il processo di traduzione legislativa della riforma proposta. Nel sistema suggerito da Ibl manca del tutto un’imposta di tipo ambientale, non è prevista una negoziazione in sede europea per una revisione delle aliquote dell’Iva e manca una riflessione sulla tassazione di basi imponibili mobili delle grandi imprese transnazionali. L’Europa è il nostro progetto e se si deve - come si deve - modificare radicalmente il nostro sistema fiscale, sarebbe bene tenere conto degli impulsi che possono trovare sostegno e coordinamento in sede internazionale.

    Nella versione attuale, poi, la riforma indebolirebbe il federalismo attraverso un ritorno alla finanza derivata, in sostituzione dei tributi propri dei livelli di governo locale (Irap e Tasi-Imu).

    Infine, non è del tutto chiaro il meccanismo di finanziamento della sanità. Avremmo cittadini che non pagano il servizio, quelli che pagano il contributo o l’assicurazione nella misura statisticamente uguale al servizio fruito, più una terza tipologia che deve farsi carico di pagare per la prima, cioè per coloro ai quali il servizio è offerto gratuitamente (deve essere così perché la fiscalizzazione generale del servizio sanitario tenderebbe a scomparire).

    Ciò rischia di creare scompensi al sistema e chiamerebbe il secondo pilastro, in particolare i fondi sanitari contrattuali, a un notevole sforzo per adeguare i nomenclatori alle maggiori necessità di integrazione, a fronte dell’eliminazione, tra l’altro, delle forme di deducibilità fiscale sui contributi a loro versati da aziende e lavoratori.

    Nell’ambito poi di chi deve pagare anche per i meno abbienti si immagina una forma di progressività nel contributo o addirittura dell’assicurazione? Questo è un punto debole perché se la capacità contributiva può ispirare una ragionevole progressività del prelievo, difficilmente questa si comprenderebbe se applicata alla spesa (chi più guadagna più paga per il medesimo servizio). Né si vede come si possa obbligare un’assicurazione privata a discriminare i premi delle polizze in funzione del reddito dell’assicurato.

    C’è ancora da lavorare, emendare, integrare, dunque. Ma la strada è tracciata. E se si vuole cambiare l’Italia, è necessario, di fronte a una proposta come quella dell’Ibl, fare tutti un piccolo passo indietro come associazioni di categoria, rinunciando a una parte delle nostre bandiere, per fare muovere un grande passo in avanti all’intero Paese. Confcommercio darà il suo contributo per migliorare un progetto che può davvero riportare l’Italia sul sentiero della buona amministrazione e di un rapporto paritario tra istituzioni e contribuenti, restituendo a questi piena dignità di cittadini.

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