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Alternanza scuola-lavoro per dare sostegno vero all’occupazione giovanile

Gentile Fabi,

mi riferisco agli ultimi suoi interventi sul tema delle pensioni e in particolare sul suo giudizio favorevole rispetto all’ipotesi di nuovi innalzamenti dell’età pensionabile. Ora, di fronte a un Governo che giustamente sta cercando di varare nuove misure per facilitare, attraverso sgravi contributivi, l’occupazione giovanile come la mettiamo con la volontà di mantenere per più tempo al lavoro gli anziani. Non sarebbe anzi il caso di approvare qualche provvedimento che obblighi le aziende a sostituire con i giovani i lavoratori vicini all’età della pensione? Senza interventi coraggiosi il problema della disoccupazione giovanile non potrà che aggravarsi con effetti sociali fortemente negativi. E non le sembra che anche la proposta di alzare a 18 anni l’obbligo scolastico possa essere una forma per mascherare le difficoltà dell’impiego giovanile. Se non sbaglio la legge prescrive che l’età minima per l’inserimento al lavoro non possa essere inferiore a quella per la quale è previsto l’obbligo scolastico.

Emilio Mattei

Gentile Mattei,

le sua lettera è ricca di spunti e di riflessioni. Ma, se mi permette, manca un elemento che in prospettiva potrebbe essere decisivo proprio per l’obiettivo che lei, giustamente, ha a cuore. Parlo dell’alternanza scuola-lavoro che nell’anno scolastico che sta per iniziare dovrebbe avere una forte crescita e un impegno decisivo sia da parte degli istituti scolastici, sia da parte delle imprese e degli enti interessati. La prima risposta che si deve dare al problema dell’occupazione giovanile è infatti quella di offrire dei percorsi per formare persone in grado di rispondere alle esigenze di un sistema produttivo in profonda evoluzione, un sistema che peraltro ha proprio bisogno di nuove competenze, di capacità innovative, di inedite prospettive digitali. E per i giovani capaci, motivati e preparati sarà meno difficile entrare in questo nuovo mondo del lavoro.

Detto questo mi permetto di essere in disaccordo su almeno due punti della sua lettera. In primo luogo è sbagliato considerare il mondo del lavoro come un sistema composto da numeri e non da persone: nel senso che non è per nulla scontato che uscendo un anziano venga assunto un giovane. Quello che può far crescere l’occupazione è la competitività dell’impresa. E le competenze, la professionalità, l’esperienza dei meno giovani possono essere importanti proprio per mantenere aperta una strada di crescita, e quindi di nuove assunzioni. In secondo luogo mi sembra opportuno ribadire che l’occupazione non si crea per legge, non si crea con nuovi vincoli e nuovi obblighi: già ora il mercato del lavoro in Italia è uno dei più regolati e quindi uno dei più rigidi.

Arriviamo alla sua ultima osservazione. La proposta di innalzare l’obbligo scolastico non mi sembra una mossa semplicemente tattica, anzi dovrebbe proprio nella direzione di aumentare quella che viene chiamata “l’occupabilità” dei giovani. Soprattutto se ci si riferisce non tanto all’obbligo scolastico vero e proprio, ma a un più generale obbligo formativo, in grado di comprendere quindi anche formule di inserimento al lavoro come l’apprendistato. Nelle fabbriche non ci sarà bisogno solo di ingegneri iperspecializzati, ma anche di “artigiani digitali”, di persone in grado di dialogare con i robot aiutandoli a risolvere i problemi che potrebbero apparire insolubili senza un pizzico di intuizione, un po’ di intelligenza e una sana esperienza. Tutte cose che i robot non hanno.

gianfranco.fabi@ilsole24ore.com

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