Sono passati dieci anni dalla crisi finanziaria globale. I fautori dell’approccio mainstream, ossia dei modelli di equilibrio generale New Keynesian (d’ora in poi NK-DSGE) vedono la bottiglia mezza piena, sottolineando che la teoria macroeconomica ha fatto passi avanti notevoli nella comprensione dei nuovi fenomeni generati dalla crisi. I detrattori ritengono che questa teoria non sia ancora all’altezza delle sfide. Ma i fondamentalisti di entrambi gli schieramenti hanno torto perché da un lato non è vero che tutti i problemi dell’approccio di consenso siano stati risolti e, dall’altro, non è vero che “l’è tutto sbagliato, l’è tutto è da rifare” come direbbe Gino Bartali.
Sul versante mainstream, i modelli NK-DSGE sono stati arricchiti in tre direzioni. In primo luogo, è stato attribuito un ruolo rilevante al sistema bancario: i nuovi modelli NK-DSGE con frizioni finanziarie spiegano come piccoli shock negativi possano trasformarsi in grandi recessioni (acceleratore finanziario). In secondo luogo sono stati introdotti in modo significativo agenti eterogenei. Infine, c’è letteratura scientifica che incorpora in questi modelli forme di razionalità limitata derivanti dall’economia comportamentale. Ma l’approccio di consenso è ancora basato sulla premessa secondo cui l’economia di mercato è intrinsecamente stabile e può generare oscillazioni solo se esposta a shock esogeni aggregati.
Sul versante della professione che si sente più libera di cercare strade nuove, nell’ultimo decennio si registra una proliferazione di Macroeconomic Agent Based Models (d’ora in poi MABM) che concepiscono l’economia come un sistema complesso in cui agenti eterogenei interagiscono sui mercati in condizioni di disequilibrio. In questo contesto, la dinamica del Pil non può essere compresa per estrapolazione del comportamento individuale - come è lecito fare in presenza di agente rappresentativo - ma è una proprietà emergente del modello. Piccoli shock, anche a livello individuale (idiosincratici), possono avere effetti aggregati attraverso le interazioni di mercato (contagio in senso ampio). I MABM catturano, almeno qualitativamente, gli aspetti della crisi che sfuggono ai modelli NK-DSGE. D’altro canto, l’approccio agent based si è liberato della camicia di forza della razionalità neoclassica a prezzo di una certa arbitrarietà delle ipotesi circa i processi decisionali (regole del pollice di ispirazione comportamentale) e di enormi complessità computazionali. In definitiva, su entrambi i versanti si sono fatti passi avanti notevoli ma ancora non si può essere soddisfatti.
Promuovere la fertilizzazione incrociata dei due approcci, come facciamo nel Complexity Lab in Economics (CLE) dell’Università Cattolica, può aiutare a massimizzare i vantaggi che entrambe le linee di ricerca possono offrire. Perché questa competizione sia produttiva, occorrerebbe mitigare il potere di mercato e le manovre divisive degli oltranzisti di entrambi i campi. Una volta raggiunte posizioni di primazia nella professione, chi le detiene tende a proteggerle facendo passare l’idea che solo i propri schemi di pensiero siano legittimi. Noi, invece, crediamo in un nuovo modo di fare economia che non rinnega il passato ma gli fornisce nuova linfa.
E nella didattica? Per quanto riguarda la macroeconomia, nei corsi fondamentali di primo anno di dottorato si insegna essenzialmente l’approccio NK-DSGE standard. Ciò riflette la concezione – che noi condividiamo – secondo cui non si possono affrontare approcci nuovi senza conoscere a fondo quelli di consenso. Anche l’approccio “ad agenti” si sta facendo strada nei programmi di dottorato, nei corsi di specializzazione di secondo anno. Occorrerebbe dare più spazio, nei curricula dottorali, all’economia (macro)sperimentale e alla teoria delle reti. Come ha detto Akerlof nella sua Nobel Lecture del 2001: «If there is any subject in economics which should be behavioral, it is macroeconomics». Che è quanto si fa nel dottorato in economia di Cattolica e Bicocca (Defap), dove ci sono corsi di secondo anno dedicati all’approccio computazionale e sperimentale in macroeconomia.
Quel che manca ancora è l’apertura a questi temi a livello di laurea magistrale e triennale. Gli approcci comportamentale e ad agenti richiedono l’uso di computer e di programmi di codificazione in classe. Quando si fanno tentativi didattici in questa direzione, gli studenti rispondono entusiasticamente ma mancano i libri di testo e il tempo. Fornire una visione pluralista agli studenti è importante per renderli coscienti dei pro e dei contro di entrambi gli approcci e aiutarli a comprendere meglio quella che forse non è più solo una “scienza triste”.
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