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Dossier Precisione e umiltà per capire meglio

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    Dossier | N. 33 articoliProcesso all’economia

    Precisione e umiltà per capire meglio

    (Marka)
    (Marka)

    «La gente in questo Paese ne ha avuto abbastanza degli esperti». Così l’allora ministro della Giustizia, Michael Gove, liquidava a giugno 2016 e poco prima del referendum sulla Brexit il giornalista che gli chiedeva di fare il nome di un singolo economista che fosse a favore dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.

    Gove ha pensato che questa sfiducia (no confidence in inglese) verso gli esperti potesse dargli un vantaggio politico. Proprio lui, Visiting Fellow a Nuffield, il College di Oxford centrale per le scienze sociali. Al di là del populismo facile che sappiamo, i Brexiteer hanno utilizzato a piene mani contro le “élite cosmopolitane”, anche gli esperti hanno qualche colpa.

    Una di queste colpe è l’overconfidence, l’eccessiva sicurezza di sé e delle proprie opinioni, criticata anche dal neo-Nobel Thaler. Tutti gli umani sovrastimano la propria conoscenza della realtà e la propria capacità di prevedere il futuro. Gli esperti, però, sono più overconfident, fino ad apparire presuntuosi. Emre Soyer e Robin Hogarth nel 2012 hanno pubblicato i risultati di una ricerca su un campione di economisti accademici: gli economisti tendevano a considerare le conclusioni più certe rispetto a quanto non fosse effettivamente giustificato dalla lettura delle analisi di un articolo di ricerca. In modo simile, Itzhak Ben-David, John Graham e Campbell Harvey, in un lavoro pubblicato nel 2013, hanno mostrato come i Chief financial officers (Cfo) di aziende medie e grandi negli Stati Uniti siano troppo sicuri delle proprie conoscenze sui rendimenti finanziari e tendano a sottostimare l’incertezza dei rendimenti futuri. Inoltre, aziende con i Cfo più presuntuosi tendono a essere più aggressive sul mercato e a indebitarsi di più.

    Non solo gli economisti tra gli scienziati sociali e i top manager sono presuntuosi. Parlo della mia disciplina “sorella” dell’economia, la demografia. I demografi sono quasi sempre overconfident rispetto alla capacità di prevedere le tendenze future della popolazione, per due motivi. Primo, perché si pensa che la demografia possa fornire informazioni più accurate sul futuro del mondo, dato che i cambiamenti della popolazione avvengono più lentamente rispetto quelli economici o politici. L’ex presidente dell’Istat, Antonio Golini, ama citare una metafora del demografo ed economista francese Alfred Sauvy. Per Sauvy il mondo è come un orologio (analogico). In questo orologio, la politica è la lancetta dei secondi, che corre via veloce ed è inseguita, appunto, dai politici. L’economia è la lancetta dei minuti, il cui scorrimento è comunque visibile. La demografia è la lancetta delle ore, apparentemente ferma ma fondamentale nel lungo periodo. Seguendo la metafora di Sauvy, possiamo prevedere più facilmente nel breve e medio periodo le tendenze demografiche, che operano lentamente, rispetto a quelle economiche e politiche.

    Il secondo motivo della overconfidence dei demografi è legato al paradigma scientifico. L’apparato matematico della demografia formale funziona, ed è molto elegante, per popolazioni chiuse ai flussi migratori. Basta allora considerare l’andamento della natalità e della mortalità per le analisi e per le previsioni. L’unica popolazione chiusa ai flussi migratori è però quella del mondo intero. A livello nazionale, e a maggior ragione a livello sub-nazionale, i flussi migratori, che possono cambiare molto velocemente, sono una componente importantissima delle dinamiche demografiche. Se teniamo conto delle migrazioni, la demografia si muove molto più velocemente della lancetta delle ore dell’orologio di Sauvy. La presunzione di prevedere facilmente il futuro della popolazione ha ricadute politiche. Quando il primo ministro David Cameron nel novembre 2015 scrisse a Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, per negoziare un accordo allo scopo di evitare il referendum sulla Brexit, lamentandosi dell’immigrazione eccessiva verso il Regno Unito, usò le proiezioni Eurostat a lungo termine: «Si prevede che diverremo il Paese più popolato dell’Unione Europea nel 2050». Effettivamente, questo era lo scenario che allora Eurostat prospettava, usando i dati fino al 2013. Oggi, con base 2015, la stessa agenzia ha cambiato idea, e prevede che la Germania rimarrà il Paese più popolato della Ue nel 2050, con 82 milioni 686 mila e 973 abitanti. Cosa è cambiato? La ben nota apertura di Angela Merkel ai rifugiati. Ma l’overconfidence, tale da fornire una “proiezione” puntuale precisa, e i rischi dell’uso di queste informazioni permangono: l’Eurostat fornisce oggi proiezioni al 2080 per tutti i Paesi, e le Nazioni Unite al 2100, con una grande incertezza relativa anche ai flussi migratori a breve.

    Come possiamo proteggere l’economia, la demografia e le altre scienze sociali, ma anche le aziende e il management dalla presunzione? La prima soluzione è partire dai dati, sdoganando la descrizione della realtà come ancora per ogni riflessione e decisione. La fondazione Gapminder del compianto Hans Rosling è nata «per combattere l’ignoranza devastante con una visione del mondo basata sui fatti» — questo serve anche agli esperti. Per troppo tempo l’aggettivo “descrittivo” è stato utilizzato per distruggere una ricerca: la descrizione di fatti e relazioni sociali ed economiche, soprattutto quando si tratta di nuove informazioni, dev’essere un punto di partenza per le scienze sociali. La seconda soluzione è più complessa: gli esperti debbono diventare meno presuntuosi, accettando di mettere in discussione le proprie visioni quando l’evidenza empirica appare contraria, come appropriato ad una visione della scienza popperiana. Per trovare una giusta via di mezzo tra no confidence di Gove e l’overconfidence degli esperti occorre definire criteri e standard comuni tra le scienze sociali, diminuendo le barriere che ancor oggi esistono tra discipline.

    *Francesco Billari è prorettore alla Faculty e professore di Demografia all’Università Bocconi Milano

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