Il proprietario che dimostri di essere in buona fede può evitare la confisca di un veicolo utilizzato per un traffico illecito di rifiuti. Così le società di leasing e di noleggio vengono di fatto messe al riparo da un pesante rischio cui il Codice ambientale le aveva esposte. Lo ha eliminato la Cassazione, con un orientamento che si sta consolidando.
Il problema nasce dal fatto che l’articolo 260-bis, comma 4, del Dlgs 152/2006 prevede la confisca del «veicolo e di qualunque altro mezzo utilizzato» per il trasporto di rifiuti pericolosi, a meno che questi appartengano «non fittiziamente» a persona estranea al reato. Tale clausola di salvezza, però, non è prevista negli altri articoli del Codice che prevedono la confisca (259, comma 2, per la violazione degli articoli 256 e 258, comma 4, e 259, comma 1). Un disallineamento importante che danneggia tutti i proprietari terzi incolpevoli.
Il disallineamento è stato a più riprese colmato dalla Cassazione penale. E recentemente la Terza sezione (sentenza 25 luglio 2017, n. 36819), in tema di trasporto illecito di rifiuti, ha ricordato il principio di diritto secondo cui il terzo estraneo al reato che, qualificandosi proprietario o titolare di altro diritto reale sul mezzo sottoposto a sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, ne invochi la restituzione in suo favore, ha l’onere di provare la propria buona fede. Cioè che non era a conoscenza dell’uso illecito del mezzo e che il reato non è collegabile ad un suo comportamento colpevole o negligente.
Il principio, già affermato dalla Cassazione con sentenza 11 gennaio 2013, n. 1475, comporta che:
ai fini della sussistenza dell’estraneità al reato, il proprietario incolpevole non deve aver avuto alcun collegamento, diretto o indiretto, con la due consumazione e l’impiego dei relativi profitti;
non deve aver posto in essere alcun contributo di partecipazione, anche se non punibile.
Salvaguardie importanti, data la severità del regime delle confische connesse ai traffici di rifiuti. Con la sentenza 18774/2012, la Cassazione definiva la confisca come «una rappresaglia legale nei confronti dell’autore del reato e mira a colpirlo nei suoi beni con una sanzione aggiuntiva molto più pesante della sanzione penale principale».
La confisca è prevista anche in altre norme del Codice (si veda la scheda sotto). Il trasporto non autorizzato di rifiuti e il trasporto di rifiuti senza formulario o con formulario recante dati incompleti o inesatti nonché con uso di certificato falso sono puniti anche così. Il trasporto non autorizzato è quello effettuato da un soggetto non iscritto all’Albo nazionale gestori ambientali. La sopravvenuta iscrizione del titolare del mezzo non ne esclude la confisca (sentenza 42140/2013)
Pensare che la perdita della disponibilità del bene si possa rinviare fino alla sentenza di condanna o di patteggiamento è sbagliato: l’impresa può essere colpita da subito, con sequestro preventivo. Questo accade perché l’articolo 321, comma 2, del Codice di procedura penale consente al giudice il sequestro preventivo delle cose di cui è consentita la confisca. Pertanto, il provvedimento di sequestro può anche prescindere dalla prognosi di pericolosità connessa alla libera disponibilità del bene.
Il sequestro preventivo dei mezzi utilizzati, con finalizzazione al provvedimento di confisca è legittimo ma (sentenza 16990/2012) non può estendersi agli ulteriori strumenti di lavoro (pale meccaniche ed escavatori) che non abbiano la qualità di mezzi di trasporto: non è consentita una interpretazione in malam partem dell’obbligatorietà della confisca dei mezzi in caso di condanna per trasporto illecito di rifiuti.
I mezzi vengono colpiti così duramente non solo perché sono lo strumento contingentemente utilizzato per commettere il reato, ma anche perché sono lo strumento essenziale che integra gli estremi della fattispecie astratta di reato (sentenza 35879/2008).
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