Il dibattito in corso sulle colonne del Sole 24 Ore sul tema dell’economia sta evidenziando la ricchezza della disciplina, sempre più in grado di analizzare i fenomeni umani nei loro mille aspetti: dalle dinamiche macro economiche, ai comportamenti individuali, alle scelte politiche, al funzionamento delle istituzioni.
Tuttavia l’estensione delle domande e dei metodi di ricerca ha portato, forse, a trascurare un aspetto a mio avviso importante del campo economico quale quello delle ricadute che le logiche economiche hanno sugli attori economici collettivi quali imprese, organizzazioni pubbliche e quelle non profit (in una parola le aziende).
Il punto di sostanza è che l’economia, se da un lato sta sviluppando ed evolvendo in modo molto efficace il suo modello antropologico (cosa fondamentale in ogni scienza sociale), dall’altro non ha ancora sviluppato collegamenti soddisfacenti tra il soggetto (l’agente economico individuale) e il contesto in cui opera, vale a dire le imprese e le altre organizzazioni. Come diceva Simon, se un marziano vedesse la terra dallo spazio e il mercato fosse rappresentato da linee rosse mentre le organizzazioni da punti verdi, probabilmente vedrebbe la terra come un globo verde e non rosso. Ma l’impresa è stata considerata dagli economisti prima come una black box, poi una sorta di “nexus of contracts”, mai come quello che è nella realtà, un insieme complesso di relazioni interpersonali ad alta intensità emotiva e di cooperazione fiduciaria. Delle istituzioni che attraverso il lavoro, costituisco il nucleo centrale della libertà dei moderni. Le teorie economiche con i loro potenti strumenti analitici hanno avuto anche nel campo aziendale un’importante influenza imponendo un modello manageriale specifico, basti pensare agli studi e alle regole di corporate governance, ma questo modello, pur avendo indubitabili punti di forza, ha anche portato una forte torsione del mondo delle imprese dando spazio a cattive pratiche (per esempio ha agevolato forme estreme di finanziarizzazione dell’economia), cioè pratiche “incivili”, poiché in grado di giustificare ricadute sociali negative o forme di impoverimento e devalorizzazione del lavoro in nome dell’agnello d’oro della massimizzazione del “valore”.
Questa denuncia è stata ben formulata una dozzina di anni fa da Sumantra Ghoshal nel suo articolo Bad Management theories are destroying good management practice, una sorta di testamento scientifico scritto poco prima della sua prematura scomparsa.
Per Ghoshal le cattive teorie distruggono le buone pratiche di management in primo luogo perché gli economisti sono stati vittime di “pretense of knowledge”. In proposito Ghoshal richiamò Hayek quando nel suo discorso di ringraziamento al Nobel disse «mi sembra che il fallimento degli economisti nel guidare le politiche pubbliche in modo efficace è chiaramente connesso con la loro propensione a imitare il più possibile i metodi di ricerca che hanno avuto successo nelle scienze fisiche» precisando come tali metodi all’interno delle scienze sociali che sono «fenomeni di complessità organizzata […] sono spesso i più anti scientifici». Questo metodo, collegato al riduzionismo circa la visione antropologica dell’uomo economico come “idiota sociale”, ha dato al management indicazioni spesso ben diverse rispetto alle buone prassi che costruivano nella loro esperienza lavorativa pratica.
L’economia, sviluppando il modello di (ir)razionalità degli individui più realistico, potrà ricercare più efficacemente nuove forme di collegamento tra economia e management e nuovi modelli di governo e amministrazione delle imprese.
Insegnare l’economia politica senza saperla collegare all’economia aziendale e al management significa rischiare di dare agli studenti una visione astratta e ideologica delle imprese, perdere di pragmatismo e cadere in logiche riduzioniste nell’analisi dei fenomeni economici. Per questo motivo è auspicabile sviluppare nuove alleanze tra economia e management innovando e sviluppando lo studio delle aziende come istituzioni orientate non solo a generare ricchezza ma anche “benvivere sociale”, come dicevano gli economisti italiani dei secoli scorsi.
Ordinario di Organizzazioneaziendale all’Università Statale di Milano
© Riproduzione riservata