Cambiare l’auto è un momento frizzante e pieno di stimoli, perché le macchine sono affascinanti e l’offerta è vastissima: orientarsi non è facile. Oltre ai modelli e agli allestimenti occorre inserire anche una variabile che finora era data quasi per scontata: il tipo di propulsore. Da tanto tempo il diesel era per molti un’opzione pacifica, non in discussione (almeno per chi guida auto non piccole da città e per percorrenze medio-lunghe). Adesso non è più così. Tanti professionisti che scelgono la prossima vettura valutano se tornare al motore a benzina o considerare una ibrida oppure un’auto a metano o Gpl. E questo diventa una questione cruciale nelle flotte, sia per i fleet manager sia per gli “user chooser” (gli assegnatari delle auto che le scelgono, oltre a guidarle).
Dietro questi interrogativi ci sono motivazioni diverse. C’è quella del rispetto dell’ambiente, che soprattutto nel nostro Paese è in genere dichiarata più di quanto poi seguita nei fatti. Ancora, c’è quella fondamentale della libertà di ingresso nei grandi centri urbani. D’accordo che il bollo non è più una tassa di circolazione, ma di possesso, però resta una forte contrarietà a pagare per un bene di cui viene impedito l’utilizzo. Ormai non ci si può godere più di una settimana di bel tempo che arriva il temuto blocco alla circolazione, che troppo spesso colpisce anche le vetture nuove, le Euro 6. Inoltre, non passa mese che qualche sindaco annunci di volere che un suo successore, intorno al 2025, blocchi tout court la circolazione per le auto diesel anche nuove (gli autobus invece, la cui età media si aggira intorno ai 15 anni, potranno continuare a circolare). Infine, la preoccupazione per il valore residuo di questa nuova macchina. Si tratta pur sempre di un’importante operazione economica e nessuno vuole veder svanire metà del suo valore finale di realizzo a causa di un mercato che vedrebbe il diesel uscire dalle opzioni dei consumatori.
Sono tutte preoccupazioni legittime, ma sono anche accompagnate dal bisogno delle persone di sapere se effettivamente questa campagna sia giustificata (e dunque ineluttabile) dalle evidenze dei livelli di emissione. Molti se lo chiedono e lo chiedono a chi ritengono più addentro al settore. Diciamo subito che non c’è alcun fondamento scientifico per affermare che un motore diesel Euro 6 sia più inquinante di uno a benzina. Molti studi che concludono il contrario sono basati, in tutto o in parte, sulle vetture in circolazione dieci e vent’anni fa, ossia antecedenti al common rail e prive del filtro anti-particolato (Fap). Ad esempio, le emissioni di polveri sottili o particolato (PM) del motore diesel sono state ridotte del 96%, da 0,14 gr/km (Euro 1) a 0,005 gr/km (Euro 6). Inoltre, va anche ribadito (a costo di cadere nel “benaltrismo”) come il riscaldamento degli edifici produca il triplo delle emissioni di PM10 e PM2,5 generate da tutti i veicoli: autobus, furgoni e automobili. Va chiarito, inoltre, che gran parte delle polveri sottili sono prodotte non dal motore ma dall’usura dei freni, degli pneumatici e della strada, unitamente al sollevamento di polveri dal suolo (che andrebbe opportunamente lavato dalle amministrazioni). Dall’altro lato c’è la questione del riscaldamento globale, in quota percentuale collegato anche all’anidride carbonica prodotta dai motori. Sulla CO2, che non è un inquinante ma un clima-alterante, non c’è però discussione: il diesel ne produce meno, in quanto più efficiente del motore a benzina. Quindi il diesel aiuta, non peggiora, il riscaldamento globale.
Comunque, le alternative a diesel e benzina ci sono. Le auto alimentate a Gpl e a metano vantano, insieme a emissioni di CO2 inferiori, anche un’economia di costo, sebbene le prestazioni non siano così brillanti come le corrispondenti vetture a benzina o diesel. Discorso diverso per le macchine ibride, che uniscono un propulsore elettrico a quello termico. Si tratta di una tecnologia relativamente nuova, che sta gradualmente aumentando la penetrazione sul mercato. Nei primi tre mesi 2018 le immatricolazioni sono cresciute del 32% rispetto all’anno precedente, più di quelle a metano (+30%), mentre nello stesso periodo, in un mercato in flessione dell’1,5%, il diesel è calato del 2,5%, il benzina del 3,2% e il Gpl addirittura del 7,5%.
È probabile che anche coloro che scelgono una nuova auto all’interno delle flotte aziendali si pongano le stesse domande, soprattutto legate alla possibilità di circolare nei centri urbani. Tuttavia, secondo quanto riportano i grandi noleggiatori, queste preoccupazioni non sono ancora arrivate a scalfire le decisioni dei fleet manager, che come noto guardano prevalentemente alla CO2 come indicatore della sensibilità ambientale dell’impresa e dunque restano fedeli al gasolio, almeno per quei driver che fanno tanti chilometri. Infatti, alcune aziende optano per i motori a benzina o ibridi per quei driver che stanno sotto i 15mila km/anno. In generale, i grandi clienti ascoltano e leggono del clamore che si sta suscitando intorno al diesel, e pongono interrogativi ai noleggiatori, soprattutto per capire se sul versante dei valori residui potrebbero incappare in una diminuzione della convenienza. Ma non è questo il caso, visto che i noleggiatori affermano che in una certa misura la minore appetibilità dei diesel usati è già stata messa in conto, mentre ciò che oggi li preoccupa di più sul fronte dell’usato sono le percorrenze elevate delle macchine a fine noleggio.
Per quante domande possano porsi, i clienti del noleggio sono ancora la parte in crescita del mercato auto. Gli operatori del long term acquistato nel trimestre 85mila vetture, 10mila più dello stesso periodo del 2017, con un incremento del 13%, in gran parte derivante da nuova clientela, Pmi e professionisti ma anche privati cittadini. Anche il rent-a-car ha segnato una crescita importante (intorno al 10%), giustificata da una Pasqua arrivata presto, che ha imposto di avere le auto disponibili in flotta già da metà marzo. Non così bene il resto del mercato, con le società tenute in positivo solo dalle auto-immatricolazioni, cresciute ancora in questo trimestre del 16%, mentre i privati hanno immatricolato 38mila auto in meno, probabilmente quelli che hanno optato per un usato a km0, visto che i passaggi di proprietà netti (riconducibili per il 95% a privati) sono aumentati di 34mila unità.
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