D’estate, più che in altre stagioni, chi guida non dovrebbe bere neanche un goccio d’alcol. Non solo perché si mette più spesso in situazioni impegnative, come viaggi lunghi o rientri a tarda notte, quando è sconsigliabile aggiungere alla stanchezza gli effetti dell’alcol. Ma anche perché si moltiplicano i controlli, con rischi di risultare positivi anche quando non lo si è: l’affidabilità degli etilometri è spesso dibattuta. E in più di un caso sono state messe in discussione anche le modalità con cui gli apparecchi vengono testati.
Le «anomalie» del test
Analizzando alcuni libretti metrologici, sarebbero emerse alcune anomalie e qualcuno ipotizza persino che gli etilometri funzionino
in modo diverso nell’uso quotidiano rispetto ai test di banco (un po’ come accaduto nel dieselgate). Una decina di giorni fa è stata depositata alla Procura di Treviso una denuncia secondo
cui le istruzioni in italiano di un modello di etilometro sarebbero diverse da quelle originali e non terrebbero conto della
riduzione della precisione col passare del tempo, cosa che invaliderebbe le verifiche di laboratorio sull’apparecchio stesso.
Ad oggi, però, nessuna di queste ipotesi è stata dimostrata in modo inoppugnabile, né tantomeno è stata fatta propria da un
giudice in una sentenza.
Scientificamente sono invece riconosciuti elementi contingenti quali presenza di sostanze volatili nel cavo orale (come i collutori) , ireflusso gastro-esofageo e insufficiente collaborazione da parte di chi soffia. Ma il principale elemento di potenziale inattendibilità è che l’apparecchio misura la concentrazione di alcol nell’aria espirata, mentre per legge conta quella nel sangue.
Quest’ultima è ottenuta dall’etilometro, applicando un fattore di conversione fisso determinato su una media di persone. Chi è fuori media potrebbe risultare in regola anche se è ebbro o punibile anche se ha nel sangue alcol nei limiti. Gli agenti, dunque, dovrebbero sempre annotare i particolari utili al giudice per valutare l’accaduto, indipendentemente dal risultato del test.
Agli agenti è richiesta cautela anche perché le potenziali contestazioni sull’attendibilità degli etilometri riguardano pure la verifica della regolarità degli apparecchi, che compete a loro e può farli finire indagati.
La verifica dello strumento
Ogni etilometro, prima di entrare in servizio, va sottoposto alla «verifica primitiva», che deve accertarne la precisione e va seguita ogni anno da controlli un po’ meno approfonditi («verifiche periodiche»). Per le “primitive”, c’è una sola struttura competente per legge (articolo 379 del Regolamento di esecuzione del Codice
della strada): il Csrpad (Centro superiore ricerche e prove autoveicoli e dispositivi), di Roma. Ma la delicatezza dei banchi
prova usati per le verifiche e le difficoltà nel finanziare e bandire appalti fa sì che dall’anno scorso gli unici banchi
pubblici funzionanti siano quelli del Cpa (Centro prove autoveicoli) di Milano.
Si è pensato di rimediare considerando questo Cpa una sede «coordinata» col Csrpad. Così le prove si svolgono a Milano e sono subito annotate sul libretto metrologico, con la data di effettuazione. Poi però il libretto deve tornare a Roma, per ricevere il timbro finale del Csrpad, con relativa data.
Il problema della doppia data
Tra difficoltà organizzative e ingolfamento degli uffici, il tempo tra i test e il timbro è via via aumentato. Fino a sfiorare i cinque mesi, come risulta al Sole 24 Ore. Quindi, un etilometro nuovo deve restare
inutilizzato per quasi metà del periodo in cui la “ verifica primitiva” è valida: senza il timbro del Csrpad il libretto metrologico non ha valore. E dopo appena sette mesi l’apparecchio va tolto dal servizio per essere sottoposto alla “verifica periodica”,
la quale - viste le difficoltà descritte - comporta attualmente un fermo da tre a sei mesi, secondo quanto denunciato da La
Stampa alcune settimane fa.
Non solo. La grande differenza temporale fra la data del test e quella del timbro può trarre in inganno i corpi di polizia, abituati a capire proprio dal timbro se un etilometro ha la “revisione” scaduta o può essere ancora utilizzato: bisogna guardare la data del test e avere l’accortezza di togliere l’apparecchio dal servizio se è trascorso più di un anno. Chi non lo fa rischia non solo di vanificare il proprio lavoro, ma anche di finire indagato: come ha denunciato l’Asaps (Associazione sostenitori ed amici della Polizia stradale), è accaduto a Forlì per una questione in cui era in gioco un’interpretazione discutibile, figurarsi se non può accadere in una situazione in cui è invece pacifico che la “revisione” sia scaduta.
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