Sì al velo islamico nei tribunali. L’applicazione effettiva del diritto alla libertà di religione permette a una donna la quale vuole indossare l’hijab, che copre capelli e collo, di mantenerlo in udienza. È la Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo nella sentenza depositata ieri, Lachiri contro Belgio, con cui Strasburgo ha “bocciato” il provvedimento che impediva alla donna di entrare nell’aula di giustizia, perché il comportamento della ricorrente non era stato irrispettoso dell’autorità giudiziaria.
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La pronuncia della Corte non è però un via libera assoluto al velo islamico in udienza perché Strasburgo ha precisato che il principio di neutralità in luoghi pubblici può prevalere sul diritto a indossare il velo.
A ricorrere alla Corte è stata una donna costituitasi parte civile in un procedimento nei confronti di un uomo che aveva ucciso il fratello e a cui, su decisione del giudice, non era stato consentito di entrare in aula per il velo. Di qui il ricorso a Strasburgo perché la donna riteneva che il Belgio avesse violato l’articolo 9 della Convenzione europea (che tutela la libertà di religione). La Corte è partita dalla constatazione che la norma ammette talune restrizioni alla libertà di religione se previste dalla legge e necessarie in una società democratica. Accertata la base legale del divieto fissato nel codice belga, la Corte ha riconosciuto che la restrizione perseguiva un fine legittimo, ossia la protezione dell’ordine pubblico e la prevenzione di condotte offensive verso il sistema giudiziario. Tuttavia, la donna non aveva avuto un comportamento in grado di compromettere il buon andamento dell’udienza. Non solo. Il velo non copriva l’intero volto e la donna non rappresentava lo Stato nell’esercizio di una funzione pubblica ma era una cittadina privata, senza obblighi di non mostrare in pubblico il proprio credo religioso. Strasburgo ha sottolineato anche un altro elemento, ossia che le aule di giustizia vanno considerate luoghi pubblici, pur non essendo assimilabili a una strada o a una piazza, con la conseguenza che il principio di neutralità deve essere garantito e prevalere rispetto alla manifestazione del credo religioso. Tuttavia, nel caso di specie, la motivazione alla base del provvedimento non era la neutralità quanto il mantenimento dell’ordine che, per la Corte, non era in alcun modo compromesso dal velo indossato dalla donna.
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