La fase acuta è passata, ma sono settimane cruciali per le case automobilistiche e i loro clienti. Le prime stanno immettendo sul mercato i modelli aggiornati ai nuovi standard antinquinamento, che saranno obbligatori solo da settembre 2019. E che, soprattutto, daranno diritto a circolare più a lungo senza incappare nei divieti che si stanno moltiplicando nelle città. All’inizio, quella delle case è un’operazione silenziosa e si poteva trovare in vendita lo stesso modello sia nella versione “vecchia” sia in quella “nuova” senza poterle distinguerle.
Ora che la disponibilità di modelli è aumentata, più di un costruttore ne sta facendo un punto di forza nelle sue campagne pubblicitarie. Ma fornendo informazioni poco chiare e tagliando, per il momento, l’offerta di modelli a gas.
I test cambiati per il dieselgate
Per capire che cosa sta accadendo, occorre tornare al dieselgate: era l’autunno 2015 e divenne evidente anche ai non addetti
ai lavori che le emissioni nocive reali (soprattutto quelle di ossidi di azoto, NOx) sono molto superiori (400-500%) a quelle
rilevate nei test di laboratorio su cui da sempre si basavano le prove di omologazione dei veicoli. Così nel 2016 la Ue approvò un giro di vite nell’attuazione dei test su strada che stavano già per essere introdotti per gli NOx: in sostanza, i limiti da rispettare restano formalmente gli stessi della classe antinquinamento attuale, la Euro 6, ma con
i nuovi metodi di misurazione sono più difficili da rispettare.
Perciò si trovò un compromesso: ammettere inizialmente uno sforamento massimo del 110%, da ridurre in seguito al 50% (un valore fisiologico nel passaggio dalla misurazione in laboratorio a quella su strada, che dà risultati più variabili).
Il primo passo si è fatto a settembre 2017, quando i nuovi standard col 110% di tolleranza sono diventati obbligatori per i modelli di nuova omologazione (cioè quelli appena lanciati sul mercato, che ormai in quasi un anno e mezzo si sono moltiplicati).
A settembre 2019 l’obbligo varrà per tutte le nuove immatricolazioni e già in questi mesi molti modelli già in commercio sono stati aggiornati, se non altro per ottimizzare i costi di riomologazione: a settembre 2018 sono scattate le nuove regole di omologazione su consumi ed emissioni di CO2 (ciclo Wltp, da fare sempre in laboratorio ma simulando velocità e accelerazioni più realistiche rispetto al blando ciclo precedente, chiamato Nedc) e così, dovendo riomologare molti modelli, si è deciso di riunire le due operazioni anticipando quella che sarebbe diventata abbligatoria solo quest’anno. Altro motivo che ha indotto ad accelerare i tempi è la guerra al diesel intrapresa da molti sindaci tedeschi dopo essere stati portati in tribunale dalle organizzazioni ecologiste. E la Germania peri costruttori è un mercato ben più rilevante rispetto all’Italia.
Da gennaio 202o si passerà al 50% per le nuove omologazioni; per le nuove immatricolazioni ci si arriverà un anno dopo. Al momento solo pochissimi tra i modelli riomologati rispettano questi parametri.
Le Euro 6 non sono tutte uguali
Tradotto sulle carte di circolazione, che fanno fede ai fini delle limitazioni al traffico urbano, questo significa che l’Euro
6 non è una classe unica come spesso si è fatto credere, ma - semplificando leggermente - è divisa in quattro “sottoclassi”:
- A, B e C da una parte (quelle “ante-dieselgate”);
- D-Temp (test su strada e tolleranza 110%) a fare da “cuscinetto”;
- D “piena” (test su strada e tolleranza 50%) dall’altra.
Sono differenze che non sfuggono ai sindaci, alle prese con l’obbligo di limitare il traffico non solo per le pressioni ecologiste ma anche per il fatto che la Ue a causa dell’inquinamento ha aperto varie procedure d’infrazione contro vari Stati (due riguardano l’Italia, su NOx e polveri sottili).
I blocchi del traffico in Italia
Al momento in Italia la città che ha più “scoperto le carte” è Milano, che dal prossimo anno intende istituire la Zona B.
Un’area che comprende quasi tutto il centro urbano, nella quale i divieti non saranno limitati alla stagione invernale come prevede l’accordo tra le quattro Regioni del bacino padano, ma estesi a tutto l’anno (se saranno del tutto appianati i contrasti col ministero delle Infrastrutture sulla possibilità di controllare gli accessi in modo automatico con telecamere). I divieti per classe Euro sono discutibili, perché il dieselgate ha dimostrato che per anni le classi sono state attribuite
sulla base di test poco indicativi, quando non addirittura truccati. Però l’unica classificazione facilmente disponibile è
questa e per le Euro 6D-Temp e D dovrebbe anche essere abbastanza afifdabile.
Dunque, Milano pianifica di:
- vietare l’Area B alle diesel Euro 6 A, B e C già dal 1° ottobre 2025;
- concedere una deroga fino al 1° ottobre 2028 per questi stessi diesel, se acquistati prima del 31 dicembre 2018 (evidentemente per venire incontro ai tanti automobilisti inconsapevoli delle differenze tra le varie fasi dell’Euro 6);
- far scattare i divieti anche per le Euro 6D-Temp e D “pieno” dal 1° ottobre 2030.
È verosimile che anche altre città con gli anni introducano misure analoghe. Il dibattito è già aperto. Anche la stessa Milano potrebbe cambiare le regole strada facendo, almeno in qualche dettaglio.
Dunque, per chi vuole continuare a viaggiare a gasolio (scelta comunque sensata per chi guida prevalentemente su autostrade e superstrade) comprare l’Euro 6 “giusta” significa poter circolare in alcune città per almeno due anni in più.
Le insidie sul mercato e le regole
Il problema è che in questi mesi chi vuole acquistare una vettura nuova può trovare lo stesso modello sia in versione Euro
6B (la più diffusa tra ante-dieselgate) sia in versione Euro 6D-Temp (le 6D “piene” sono per ora pochissime). E spesso non
ha gli strumenti per accorgersene: molti modelli sono stati riomologati senza clamore.
Ma tra le auto riomologate finora manca una buona parte delle già poche versioni a Gpl o metano prima disponibili. I test di riomologazione, in questi casi, sono più lunghi e molti modelli medio-grandi che avevano avuto un discreto successo (come le Audi A3 e le Opel Zafira a metano) non sono ancora disponibili.
Un quadro della situazione lo fornisce quotidianamente l’Adac (l’automobile club tedesco) sul proprio siti web. Ma può essere un quadro ingannevole. Almeno in Italia, ci sono ancora stock di esemplari Euro 6B ed è sbagliato credere di poterle sempre distinguere dalle Euro 6D-Temp perché sono vendute a km zero con buoni sconti: legalmente è possibile immatricolarle fino a fine agosto 2019 (e anche dopo, sia pure in contingenti limitati, con le consuete procedure «fine serie»).
In alcuni casi, poi, la produzione di un modello è continuata in entrambe le varianti, almeno per qualche tempo. Quella vecchia è andata a chi l’aveva ordinata l’anno scorso, senza specificare sul contratto che voleva un’Euro 6D-Temp (anche perché all’epoca la differenza era pressoché sconosciuta).
Un’ulteriore variante - almeno in teoria - si potrebbe avere per le vetture che rispettano le nuove norme da più di un anno e per questo non possono riportarlo sulla carta di circolazione (non erano ancora operativi di regolamenti europei che permettevano di certificarlo). In questi casi, il costruttore dovrebbe avvisare sia i proprietari sia la Motorizzazione, per consentire una ristampa della carta di circolazione che riporti almeno la dicitura «Euro 6D-Temp».
In ogni caso, con il diffondersi delle nuove versioni, si vedranno sempre più sconti sulle vecchie. E la commercializzazione delle nuove dovrebbe essere accompagnata da aumenti di prezzo.
Come cambiano i listini e i costi
Infatti, per raggiungere lo standard Euro 6D è perlopiù necessario aggiungere il costoso «catalizzatore selettivo» (Scr, a
iniezione di urea). Questo ha poi due conseguenze:
1. oltre al prezzo dell’auto, s’innalza anche il costo di esercizio, perché occorre rabboccare periodicamente il serbatoio dell’urea (grossomodo, negli ultimi modelli i serbatoi di urea contengono
20 litri invece dei 15 precedenti, un pieno dura circa 20mila chilometri e l’urea costa al massimo un paio di euro
al litro, che possono scendere fino a circa 60 centesimi per le varianti più diluite);
2. il maggior costo degli Scr non è sostenibile sulle utilitarie, le cui versioni diesel sono destinate a sparire (infatti, almeno per ora, non risultano riomologate le motorizzazioni a gasolio di Fiat 500 e Panda, Hyundai i10 e i20, Kia Picanto e Rio, Mazda 2, Opel Karl, Adam e Corsa, Seat Mii e Ibiza, Skoda Citigo, Fabia e Rapid, Toyota Yaris e Volkswagen Up e Polo).
Qualche conseguenza inattesa anche per vetture medie e quelle di classe superiore (su queste ultime evidentemente pesano soprattutto i divieti nelle città tedesche. Per esempio, la Fiat ha mantenuto sulla Tipo il motore 1.3 tolto da 500 e Panda, perché i costi della sua versione riomologata sono pià compatibili col prezzo di questa vettura di classe media. E la Bmw ha riomologato anche due Serie 1 a gasolio (la 118d e la 120d, entrambe nella versione con cambio automatico), cosa non strettamente necessaria perché la loro uscita di produzione avverrà prima di settembre 2019.
Che cosa fare
Ognuno dovrebbe valutare in base alle proprie esigenze se preferire risparmiare sul prezzo e sui consumi o poter utilizzare
l’auto più a lungo (ammesso che la zona dove circola sia soggetta a divieti) e poterla poi rivendere a una quotazione meno sfavorevole rispetto alle Euro 6 ante-dieselgate. Nel conto va messo anche
il fatto che i prezzi al litro del gasolio dovrebbero in futuro aumentare per allinearsi a quelli della benzina. Per chi opta
per i modelli riomologati è consigliabile far riportare la classe Euro sul contratto, indicando che essa è condizione essenziale
per l’acquisto: in questo modo si ha diritto a vedersi consegnata proprio quell’auto e, in caso contrario, a non ritirarla.
È bene anche valutare le possibili alternative. Per esempio, l’acquisto o la trasformazione di un’auto a gas (Gpl o metano): questo tipo di alimentazione per ora è totalmente fuori dai divieti (unica eccezione finora è Torino, che ha chiuso agli ormai ultraventicinquennali esemplari Euro zero anche quando vanno a gas). In caso di trasformazione, va valutato soprattutto se l’auto ha ancora davanti una vita utile tale da ammortizzare la spesa.
L’alternativa che verrebbe più naturale è l’acquisto di un’auto ibrida, che però rispetto a un esemplare equivalente ad alimentazione tradizionale ha prezzi più elevati e consumi autostradali più alti (ma generalmente molto buoni in città e nel misto). L’auto elettrica pura ha ancora prezzi proibitivi per i normali acquirenti e difficoltà nel trovare in giro colonnine di ricarica.
Oppure, chi non può permettersi un acquisto e/o percorre poche migliaia di chilometri all’anno (più o meno fino a 5mila) può scegliere le auto condivise (car sharing). Chi, invece, ha bisogno di fare in auto viaggi extraurbani toccando però anche aree urbane vietate può risolvere il problema noleggiandone una: le flotte degli autonoleggi sono tutte Euro 6 e quindi fuori dai divieti attuali (per quelli futuri saranno adeguate, visto che vengono rinnovate mediamente ogni anno).
Però per molti l’alternativa più praticabile è ancora l’acquisto e l’incertezza innescata dalla guerra al diesel li porta a scegliere le versioni a benzina. Che poi è la stessa scelta che fanno gli operatori del car sharing. Una scelta che però non è il massimo come consumi ed emissioni di CO2.
L’incertezza si sente anche tra chi le auto le vende e critica il sistema adottato, più o meno come stanno facendo le associazioni dei consumatori. Per questo Giorgio Boiani, vicepresidente di Asconauto, chiede di poter concordare correttivi che mitighino gli effetti dei blocchi del traffico.
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