Il punto più critico dell’ecotassa auto è l’applicazione ai veicoli usati provenienti dall’estero, già immatricolati in un altro Stato. Non solo perché non sono ancora stati chiariti alcuni punti e non di rado la documentazione che accompagna questi mezzi non consente di risalire al livello di emissioni di CO2, su cui calcolare la nuova tassa, come ha scritto il Sole 24 Ore nei giorni scorsi. Si aggiunge la possibile incompatibilità del tributo con l’articolo 110 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue).
Il problema si pone quando il veicolo è già stato immatricolato in un altro Stato Ue. In questo caso, anche un tributo ambientale come l’ecotassa potrebbe essere ritenuto come un ostacolo alla libera circolazione delle merci. È già accaduto in un caso.
La Corte di giustizia Ue, infatti, ha stabilito che l’articolo 110 va interpretato nel senso che «esso osta a che uno Stato membro stabilisca una tassa sull’inquinamento gravante sugli autoveicoli in occasione della loro prima immatricolazione» in uno Stato membro, «qualora tale misura tributaria sia strutturata in modo tale da disincentivare l’immissione in circolazione, in detto Stato membro, di veicoli usati acquistati in altri Stati membri, senza però disincentivare l’acquisto di veicoli usati aventi la stessa vetustà e usura sul mercato nazionale».
Questo è il principio della sentenza del 7 aprile 2011 (procedimento C-402/09). E potrebbe essere applicato all’interpretazione dell’articolo 1, comma 1043, della legge di bilancio per il 2019 (legge 145/2018), in base al quale, l’ecotassa è dovuta anche «da chi immatricola in Italia un veicolo di categoria M1 già immatricolato in un altro Stato».
Il comma 1043, a differenza del comma 1042, che tocca solo i veicoli nuovi, prevede l’applicazione dell’ecotassa per i veicoli di categoria M1 già immatricolati in altri Stati, senza distinguere tra veicoli nuovi ed usati.
Quindi l’acquisto di un veicolo usato (con emissioni di CO2 superiori a 160 g/km) proveniente da uno Stato estero dove è già stata immatricolata sarebbe soggetto all’ecotassa all’atto della sua nazionalizzazione (targatura in Italia), contrariamente a una vettura usata uguale già targata in Italia. Per i modelli con le emissioni più alte, l’ecotassa è di 2.500 euro. Una cifra che potrebbe disincentivare l’acquisto in altri Stati Ue, anche se va detto che tale cifra riguarda di fatto auto di lusso.
La sentenza della Corte Ue aveva affrontato un caso molto simile: la tassa sull’inquinamento degli autoveicoli introdotta nel 2008 in Romania, dichiarata incompatibile con l’articolo 110 del Tfue. Formalmente il regime di tassazione stabilito all’epoca in Romania non distingueva né fra gli autoveicoli a seconda della loro provenienza né fra i proprietari di tali veicoli a seconda della loro cittadinanza. Ma, come affermato dalla Corte, anche se non ci sono le condizioni di una discriminazione diretta, un tributo interno può essere indirettamente discriminatorio a causa dei suoi effetti.
L’ecotassa veniva riscossa sui veicoli usati importati in Romania provenienti da un altro Stato membro e immatricolati per la prima volta in Romania, mentre per i veicoli similari già immatricolati in Romania tale tassa non veniva più riscossa in occasione della loro rivendita come usato. Secondo la Corte «i veicoli usati importati sarebbero quindi maggiormente tassati dei veicoli similari già immatricolati in Romania, il che indurrebbe i consumatori romeni verso l’acquisto di questi ultimi».
A tal proposito, secondo la Corte, il potere degli Stati membri quando disciplinano nuove tasse non può essere illimitato, ma deve rispettare la normativa europea. Il divieto di discriminazione sancito dall’articolo 110 del Tfue si applica tutte le volte che un’imposizione fiscale sia atta a scoraggiare l’importazione di merci originarie di altri Stati membri a vantaggio di prodotti nazionali.
L’ecotassa italiana, disincentivando l’acquisto di autovetture usate provenienti da altri Stati dell’Ue, potrebbe essere in futuro dichiarata incompatibile con l’articolo 110 del Tfue.
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