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Dossier Omicidio stradale, il finto pentimento porta al massimo della pena anche…

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Dossier | N. 509 articoli Circolazione stradale

Omicidio stradale, il finto pentimento porta al massimo della pena anche con la vecchia legge

Anche prima dell’introduzione dell’omicidio stradale chi avesse causato un incidente mortale dopo aver assunto alcol o droga poteva rischiare una pena tale da restare in carcere a lungo. Lo dimostra una recente decisione del Tribunale di Genova, la 3912, depositata il 28 gennaio.

Un automobilista – ubriaco, drogato e già responsabile in passato di violazioni del Codice della strada - circolando a velocità elevata in città, perdeva il controllo della vettura e, senza essersi fermato al rosso, travolgeva alcuni contenitori per la raccolta rifiuti e un pesante scaffale metallico; poi invadeva un marciapiede a cordolo rialzato, percorrendone circa 20 metri prima di investire mortalmente un pedone.

Nel corso del processo, l’automobilista aveva manifestato pentimento per quanto accaduto, spiegando di essere stato, all’epoca dei fatti, alcolista, ma di avere poi compiuto con successo un percorso di disintossicazione. La difesa, inoltre, documentava che gli eredi della vittima erano stati integralmente risarciti dall’assicurazione prima del processo.

Tuttavia, l’avvocato dei figli della vittima, Giuseppe Maria Gallo, aveva poi segnalato al giudice che sul profilo pubblico dell’imputato su un social network c’erano varie foto in cui lo stesso era stato ritratto con boccali e bottiglie di birra. Il che – a giudizio della parte – faceva dubitare della sincerità del pentimento manifestato.

Il giudice ha condannato l’imputato a otto anni e sei mesi di carcere, quando il minimo della pena previsto dall’allora vigente articolo 589, comma 4, era tre anni: un aumento che rasentava il massimo edittale, ovvero dieci anni, determinato in virtù delle aggravanti contestate (abuso di alcol e droghe), che sono state ritenute prevalenti rispetto all’avvenuto risarcimento del danno, che – secondo il giudice - non poteva essere ritenuto elemento positivo per l’imputato, dato che non era da lui provenuto ma dalla compagnia assicurativa, obbligata per legge.

Al contrario, la gravità del fatto (la morte di un ignaro pedone che si trovava sul marciapiede una domenica mattina), la condotta di guida sconsiderata dell’imputato (plurime violazione del Codice della strada, dall’abuso di alcol e droghe e dalla messa in pericolo dell’incolumità di altri pedoni) e la sua persistente personalità negativa, desunta dalle foto pubblicate sui social network e dal fatto che non aveva posto in essere alcuna iniziativa personale per dimostrare l’avvenuta resipiscenza (come un versamento di somme in beneficienza o periodi di lavoro di pubblica utilità e volontariato), hanno convinto il tribunale che egli non abbia «realmente compreso l’enorme gravità del suo gesto e si sia davvero liberato dalla “schiavitù” della alcoldipendenza».

In conseguenza dell’entità della pena inflitta, il giudice ha inoltre applicato all’imputato le sanzioni accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e legale per la durata della pena, nonché la revoca della patente e la confisca dell’automobile.

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