Il nuovo tracciato non sarà a norma, ma si è evitato di offrire appigli ad Autostrade per l’Italia per un ulteriore contenzioso. Per gli utenti, il risultato finale sarà che il nuovo viadotto Polcevera si potrà percorrere ad appena 80 all’ora, contro i 90 del vecchio Ponte Morandi crollato il 14 agosto con 43 morti. E il rispetto del limite sarà molto probabilmente garantito dal controllo automatico tipo Tutor. Sono finite con queste decisioni e tanti rilievi su altri aspetti le sei ore di seduta straordinaria con cui ieri il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha reso il suo parere sulla ricostruzione del viadotto.
Il parere non era dovuto: il Consiglio, che è l’organo consultivo del ministero delle Infrastrutture, normalmente si esprime su progetti definitivi, che per la ricostruzione del viadotto Polcevera non esistono, a causa della procedura in deroga consentita dal decreto Genova per accorciare i tempi. Lo stesso decreto, poi, permette di non applicare tutte le norme non penali.
Il Consiglio, però, è stato “tirato in ballo” per avere una sorta di avallo, data la delicatezza delle questioni relative a un’opera che normalmente avrebbe dovuto ricostruire appunto Autostrade per l’Italia (Aspi, concessionario del tratto coinvolto), mentre il decreto Genova ha affidato il compito allo Stato (tramite il commissario straordinario, che è il sindaco di Genova, Marco Bucci) a spese proprio del concessionario. Col procedere del progetto, poi, ci si è anche accorti che il tracciato - di fatto determinato dai primi progetti fatti da Renzo Piano -non era a norma.
Di qui il parere reso ieri. Una novantina di pagine, votate all’unanimità con soli tre astenuti (per motivi personali e non di merito). Un accordo trovato accantonando proprio la questione più spinosa: il fatto che sia stato mantenuto il tracciato originario, progettato nei primi anni Sessanta e non a norma con le attuali norme geometriche di costruzione delle strade, con un rettilineo troppo lungo e curve troppo stretta e con scarsa visibilità. Messi da parte anche gli attriti interni al Consiglio, su questioni che nulla c’entrano con la ricostruzione del viadotto.
La chiave del parere sta nella presa d’atto che il contratto per la ricostruzione - tra il sindaco-commissario, l’impresa che eseguirà i lavori (Salini Impregilo) e quella che sta redigendo il progetto (Italferr, delle Fs) - è “blindato” su quasi tutti i suoi aspetti. Compreso il costo complessivo: 202 milioni di euro, una cifra già oggetto di varie critiche a microfoni spenti (circa tripla rispetto agli standard ma vanno considerati l’urgenza e un certo sovradimensionamento del nuovo viadotto) che si reputa poco opportuno sforare. Lo sforamento servirebbe per allargare il raggio delle curve tra le quali il viadotto è compreso, il che implica non solo la riduzione della parte rettilinea ma soprattutto il rifacimento del primo centinaio di metri della galleria lato Savona.
Peraltro, quella galleria è una delle tante che si dovrebbero adeguare entro il mese prossimo alle attuali norme di sicurezza europee. Ma l’Italia - che di gallerie ne ha ben più della media continentale - è molto indietro. Anche sul fronte di quelle autostradali, dove le risorse teoricamente non mancherebbero, visto che dovrebbero provenire dai pedaggi pagati dagli utenti. Inoltre, anche dove gli adeguamenti si sono fatti o sono stati progettati, non di rado ci si è limitati a lavori che non hanno risolto i problemi specifici della singola opera.
Il Consiglio non ha preso una posizione sul problema del tracciato, per cui in futuro non si potrà citare il parere votato ieri per motivare un contenzioso. L’unica cosa che il Consiglio ha potuto fare è suggerire il limite (che comporta il paradossale risultato di una diminuzione di funzionalità rispetto al vecchio viadotto e quindi giustificherà ancor più la realizzazione della Gronda, osteggiata dallo stesso ministro delle Infrastrutture che ha avuto un ruolo primario nel decidere le procedure per la ricostruzione) e il controllo. I progettisti avevano già mitigato i problemi di sicurezza rinunciando all’idea originaria della terza corsia dinamica, cioè la corsia di emergenza utilizzabile nei momenti di maggior traffico per la marcia dei veicoli più lenti: crea rischi (e su un tratto di appena un chilometro come il nuovo viadotto serve anche a poco).
Su tutto il resto, il Consiglio ha abbondato in osservazioni critiche. A partire proprio dalla corsia di emergenza, larga mezzo metro più del dovuto (ciò crea un effetto ottico che induce alla velocità). Quel mezzo metro sarebbe stato più utile conservarlo per rendere più sicuro lo spartitraffico, tanto più che Renzo Piano ha voluto tenere al centro colonne che ne rendono più difficile il lavoro di assorbimento degli urti. Non solo: si è scelto di mantenere lo schema del vecchio ponte, cioè con impalcato unico che contiene entrambe le carreggiate, rendendo ciascuna di esse “sensibile” a quanto accade sull’altra (salti di carreggiata per incidente, problemi di traffico o strutturali che rendono necessaria la chiusura eccetera).
Non di rado, invece, si scelgono le carreggiate indipendenti, spendendo di più ma evitando questi problemi e permettendo il transito in entrambe le direzioni su una carreggiata quando l’altra è inagibile. La dimostrazione più lampante si è vista col crollo del Ponte Morandi: molto probabilmente, se ci fossero stati due impalcati separati, uno sarebbe rimasto in piedi, permettendo di mantenere un minimo di servizio autostradale.
Molte osservazioni anche sul sovradimensionamento di parti strutturali come i piloni e gli appoggi.
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