Se non può essere determinata la composizione o non possono essere valutate le proprietà pericolose, i codici a specchio vanno classificati come pericolosi in virtù del principio di precauzione. Lo indica la Corte di Giustizia Ue nelle cause riunite C-487/17 e altre.
Circa 30 persone sono sottoposte in Italia a procedimenti penali concernenti reati connessi al trattamento di rifiuti pericolosi nelle loro rispettive qualità di gestori di discariche, di società di raccolta e di produzione di rifiuti nonché di società incaricate di effettuare le analisi chimiche dei rifiuti. La contestazione nei loro confronti riguarda rifiuti ai quali potevano essere assegnati sia codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi («codici speculari» o «codici a specchio»), di aver classificato e trattato tali rifiuti come non pericolosi in base ad analisi chimiche non esaustive e parziali.
Nell'ambito del procedimento di sequestro delle discariche coinvolte nella vicenda e dei beni appartenenti agli indagati,
la Corte suprema di cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia di interpretare certe disposizioni della direttiva sui rifiuti
e della decisione della Commissione che stabilisce una lista di rifiuti. Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il
detentore di un rifiuto con codici speculari, la cui composizione non è immediatamente nota, debba determinare tale composizione
e ricercare se il rifiuto in questione contenga una o più sostanze pericolose allo scopo di stabilire se tale rifiuto presenti
caratteristiche di pericolo.
In caso di risposta affermativa, la Cassazione chiede quale debba essere il grado di determinatezza della valutazione e quali
metodi possano o debbano essere utilizzati. La giurisdizione nazionale chiede, inoltre, se, in caso di dubbio riguardo alle
caratteristiche di pericolo di un rifiuto con codici speculari, o in caso di impossibilità di determinare con certezza l'assenza
di sostanze pericolose in tale rifiuto, quest'ultimo debba, in applicazione del principio di precauzione, essere classificato
come rifiuto pericoloso.
La Corte oggi indica che la direttiva sui rifiuti assoggetta la gestione dei rifiuti pericolosi a condizioni specifiche concernenti
la loro tracciabilità, il loro imballaggio e la loro etichettatura. Inoltre, i rifiuti pericolosi devono essere trattati esclusivamente
in impianti appositamente designati che abbiano ottenuto un'autorizzazione speciale. Di conseguenza, il detentore di un rifiuto
con codici speculari, in quanto responsabile della sua gestione, “deve raccogliere le informazioni sulla sua composizione
e, in tal modo, attribuire a tale rifiuto il codice appropriato”. Esistono differenti metodi per raccogliere tali informazioni,
tra i quali la raccolta di dati sul processo di formazione e trattamento del rifiuto in questione oltrechè il campionamento
e l'analisi chimica, fermo restando che tali metodi devono offrire garanzie di efficacia e di rappresentatività.
La Corte osserva che la direttiva sui rifiuti non impone obblighi irragionevoli, dal punto di vista tecnico o dal punto di vista economico, a carico dei responsabili della gestione dei rifiuti, poiché assicura un bilanciamento tra il principio di precauzione, da un lato, e, dall'altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica delle misure di tutela ambientale, quale la classificazione di un rifiuto con codici speculari come rifiuto pericoloso.
Di conseguenza, “il detentore di un rifiuto con codici speculari, la cui composizione non è immediatamente nota, non è obbligato,
in vista della sua classificazione come rifiuto pericoloso o come rifiuto non pericoloso, a ricercare la presenza di tutte
le sostanze pericolose ma, conformemente al principio di precauzione, solo di quelle che possono ragionevolmente trovarsi
in tale tipo di rifiuto”. Secondo la Corte il detentore di un rifiuto, dopo avere raccolto le informazioni sulla sua composizione,
“deve procedere alla valutazione delle eventuali caratteristiche di pericolo di detto rifiuto o sulla base del calcolo delle
concentrazioni delle sostanze pericolose presenti e in funzione dei valori soglia indicati, per ogni sostanza, nella direttiva
sui rifiuti, o sulla base di una prova, o sulla base di tali due metodi”. In quest'ultimo caso, prevalgono i risultati della
prova.
Dato che i metodi di analisi e di prova non sono stati armonizzati a livello dell'Unione, possono essere presi in considerazione
anche metodi di prova sviluppati a livello nazionale, a condizione che siano riconosciuti a livello internazionale. La Corte
conclude che, seil detentore di un rifiuto con codici speculari si trova nell'impossibilità pratica, non derivante dal proprio
comportamento, di determinare la presenza di sostanze pericolose in detto rifiuto o di valutarne le caratteristiche di pericolo,
“il principio di precauzione impone di classificare tale rifiuto come rifiuto pericoloso”.
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