Nel caso di guida in stato di ebbrezza, lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità è inconciliabile con la conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria. È il monito che viene dalla Corte costituzionale.
Con l’ordinanza 59 del 20 marzo, infatti, la Consulta ha stabilito che l’articolo 186, comma 9 del Codice della Strada - che contiene la disciplina della sostituzione in lavoro di pubblica utilità della sanzione penale (arresto congiunto ad ammenda) inflitta per la guida in stato di ebbrezza - non è incostituzionale anche se, nei casi di decreto penale di condanna, prevede un valore giornaliero economico di conversione della porzione economica della pena (250 euro per giorno di lavoro di pubblica utilità) più alto di quello previsto per la sostituzione della pena detentiva in pecuniaria (da 75 a 225 euro). Ciò in quanto si tratta di due forme sanzionatorie non equiparabili, che rispondono a finalità rieducative tra loro diverse.
La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Torino e muoveva dalla lettura del comma 1-bis dell’articolo 459 del Codice di procedura penale, introdotto dalla legge 103/2017: la norma prevede che il giudice, quando emette un decreto penale di condanna, possa sostituire la pena detentiva in pecuniaria, attribuendo un valore giornaliero di conversione oscillante tra 75 e 225 euro, alla luce «della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare». Prima della legge 103, il criterio di conversione era 250 euro per giorno di pena sostituita. L’articolo 186, comma 9, non modificato dalla legge 103, prevede che il giudice, anche con il decreto penale di condanna, possa sostituire la pena irrogata con il lavoro di pubblica utilità, ovvero attività non retribuita in favore della collettività, da svolgersi prioritariamente nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale.
Poiché il reato di guida in stato di ebbrezza prevede la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, l’articolo 186 stabilisce che il lavoro di pubblica utilità abbia una durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro a un giorno di lavoro.
Secondo il giudice di Torino, la modifica che ha riguardato l’articolo 459, in assenza di un corrispondente intervento sull’articolo 186 comma 9, avrebbe comportato «notevole incertezza» sul regime sanzionatorio applicabile, e «disparità di trattamento ingiustificata tra situazione analoghe», dato che il calcolo per stabilire la durata del lavoro di pubblica utilità avverrebbe con parametri disomogenei rispetto a quelli fissati per la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
La Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione. Il cuore della motivazione ruota intorno alla diversità che esiste tra la conversione della pena detentiva in pecuniaria e la sostituzione della pena nel suo complesso con il lavoro di pubblica utilità, che «costituiscono strumenti distinti di adeguamento della sanzione al caso concreto e alle caratteristiche personali dell’imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili esigenze afferenti alla funzione rieducativa della pena».
Dunque, conclude la Consulta richiamando anche la giurisprudenza della Cassazione, i due regimi sanzionatori sostitutivi non possono essere applicati cumulativamente.
Si tratta di una decisione condivisibile, che mira alla responsabilizzazione dell’imputato. In caso di trasgressione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, infatti, egli può subire il ripristino della pena sostituita: se questa è anche di natura detentiva, e non solo pecuniaria, starà ben attento a svolgere scrupolosamente il lavoro di pubblica utilità.
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