Il sistema telematico per evitare le frodi Iva sull’acquisto di veicoli ha 11 anni ed è stato via via perfezionato. Ma ha più di una falla. Lo dimostra una serie di operazioni, principalmente di Guardia di finanza e Polizia stradale. L’estensione del problema è mostrata dall’operazione conclusa a Pordenone il mese scorso: partita dal Triveneto, è arrivata a Roma e Palermo, individuando - su almeno 635 vetture di pregio - un campionario di irregolarità sfuggite agli uffici pubblici.
Il primo strumento contro le frodi Iva è operativo dal 3 dicembre 2007: i commercianti che acquistano mezzi in altri Stati Ue per rivenderli in Italia devono prima pagare l’Iva con uno specifico modello F24 in via telematica. In mancanza, la Motorizzazione non immatricola il mezzo.
Era stato presto notato che il blocco, pur eliminando gli F24 falsi che venivano inseriti nei fascicoli per l’immatricolazione, veniva aggirato in tre modi: far risultare che il mezzo era in regime di Iva sul margine o era un bene strumentale o era stato acquistato all’estero da un privato. Fattispecie in cui il blocco non era previsto.
Nel caso di Iva sul margine e beni strumentali, la falla derivava da carenze nei controlli dell’agenzie delle Entrate. Soprattutto in alcune province, dove non a caso le immatricolazioni erano salite. Per ciò l’Agenzia aveva disposto che le pratiche potessero avvenire solo nella provincia in cui ha sede l’interessato. Ma un controllo a campione svolto a Roma e ricordato dal gip di Pordenone ha rivelato un 95% di pratiche con «numerose carenze di documentazione e/o palesi irregolarità. Molti uffici non denunciano le fatture false perché non rilevanti penalmente, cosa vera sul fronte tributario ma non su quello amministrativo: si può configurare il falso per induzione (articoli 48 e 479 del Codice penale), per aver ingannato i pubblici ufficiali della Motorizzazione convincendoli a immatricolare. Così molte indagini iniziano solo per casualità e intuito: la Gdf di Pordenone è partita dal contrabbando di una Rolls Royce.
Quanto agli acquisti dei privati, dal 5 aprile 2018 è in vigore anche per loro un blocco telematico: i dati dei mezzi da nazionalizzare vengono inviati dalla Motorizzazione alle Entrate, per avere l’ok. Che arriva quasi sempre: le Entrate fanno approfondimenti solo su chi ha già nazionalizzato almeno due veicoli. Basta dare qualche decina di euro a prestanome e l’ostacolo è aggirato. In alternativa, come scoperto dalla Gdf di Pordenone, si inserisce nel fascicolo della Motorizzazione una dichiarazione sostitutiva con firma falsa dell’acquirente finale che “afferma” di aver acquistato lui direttamente all’estero il mezzo; oppure la firma è vera, ma fatta apporre all’ingenuo cliente su un foglio bianco. Le immatricolazioni avvenivano a Palermo, dove c’è stato un boom di pratiche provenienti da tutta Italia, segnalato anche alla direzione generale della Motorizzazione ma senza esito.
Ora si stanno sequestrando le carte di circolazione delle auto individuate dalla Gdf. Saranno restituite solo a chi dimostrerà in buona fede. Aiuterà il fatto che molti hanno acquistato auto su cui gli autori della frode Iva hanno diminuito il chilometraggio.
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