Sì al blocco delle attenuanti, no alla revoca automatica della patente. Ma anche vita breve per gli indiscriminati divieti temporali che impediscono il rilascio della nuova licenza di guida e ruolo centrale della scienza nella ricostruzione delle responsabilità individuali negli incidenti stradali con morti o feriti gravi. Sono le riflessioni stimolate dalle motivazioni della sentenza 88/2019 della Corte costituzionale (si veda «Il Sole 24 Ore» del 18 aprile), che ha esaminato per la prima volta alcuni inasprimenti introdotti con l’omicidio stradale (legge 41/2016).
Le questioni sollevate erano tre: la prima sull’articolo 590-quater del Codice penale, che vieta al giudice il bilanciamento delle aggravanti con l’attenuante speciale del concorso di colpa, prevista dal comma 7 degli articoli 589-bis e 590-bis. La diminuzione di pena può arrivare fino alla metà di quella determinata dall’aggravante, ma non ne può annullare gli effetti, diversamente da quanto prevede la disciplina generale sul concorso di circostanze.
La Consulta ha dichiarato non fondata la questione, spiegando che, già in passato, la tecnica legislativa del divieto di prevalenza o equivalenza delle attenuanti su specifiche aggravanti, per contrastare condotte particolarmente lesive dell’integrità personale, è stata ritenuta legittima, a patto che non abbia determinato sperequazioni punitive irragionevoli: non è questo il caso, perché il concorso di colpa non identifica una condotta meno offensiva, ma riguarda il rapporto di causalità, dove opera il principio di equivalenza delle concause dell’evento.
Ma la Corte non esclude che l’attenuante speciale possa convivere con quella prevista dall’articolo 114 del Codice penale, che scatta se il contributo del reo è di «minima importanza» ed è sottratta al divieto di bilanciamento. Può essere il caso di chi si metta al volante con alcol nel sangue di poco superiore al consentito, tenga una condotta di guida corretta e l’incidente mortale si verifichi a causa della velocità eccessiva della vittima, della sua mancanza di cintura di sicurezza e dell’impianto di illuminazione stradale non funzionante. Appare difficile negare che la colpa del reo sia minima e concorra con altre cause a lui non addebitabili: la pena, nel minimo, può scendere da otto anni a uno, ma la ricostruzione del fatto diventa decisiva in tutte le sue componenti, tecniche (aspetti cinematici) e scientifiche (effettiva incidenza delle condizioni fisiologiche nella dinamica dell’incidente).
È stata invece accolta la seconda questione, che censurava la revoca automatica della patente in tutti i casi di omicidio e lesioni stradali, contenuta nell’articolo 222, comma 2 del Codice della strada. La stessa sanzione per situazioni tra loro molto diverse non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità: una cosa è una lesione guaribile in 41 giorni causata da una banale violazione del Codice della strada, un’altra provocare un incidente mortale perché ci si è messi al volante sotto l’effetto di droghe. Solo per l’abuso grave di alcol e droghe la revoca della patente rimane automatica; negli altri casi il giudice dovrà svolgere una valutazione individualizzante per scegliere tra sospensione o revoca, dove il contributo tecnico all’accertamento delle responsabilità individuali diventa essenziale.
È stata infine dichiarata inammissibile - perché non rilevante nel caso concreto - la questione di costituzionalità dell’articolo 222, comma 3-ter del Codice della strada, che prevede il divieto di rilascio della nuova patente per rigidi scaglioni temporali. Ma è solo un arrivederci, perché, come spiega la sentenza, l’incostituzionalità potrà essere sollevata – con evidenti probabilità di successo, per le stesse censure che hanno colpito la revoca automatica della patente - di fronte al giudice chiamato a sindacare il provvedimento amministrativo che abbia negato la nuova licenza di guida.
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