Anche un incidente di poco conto può costare fino a cinque anni di stop, se si guidava in stato di ebbrezza grave o di alterazione da droghe. È la conseguenza della linea dura scelta dalla Cassazione con la sentenza 13508/2019 su come vanno contati i tre anni nei quali non si può conseguire una nuova patente (si veda «Il Sole 24 Ore» del 21 maggio).
Infatti, anche dopo incidenti del genere - senza danni a persone - il Codice della strada prevede che il prefetto sospenda in via cautelare la patente posseduta, che poi il giudice penale la revochi e che per tre anni è vietato ricandidarsi agli esami per ottenere una nuova licenza di guida. Secondo la Cassazione, il conteggio dei tre anni parte dal passaggio in giudicato della sentenza penale (di patteggiamento o condanna) e non dal giorno in cui è avvenuta l’infrazione; inoltre, il triennio non può essere ridotto del periodo di sospensione già sofferto in via cautelare.
Facciamo il caso concreto di un conducente che, con alcol nel sangue superiore a 1,5 g/l, provoca un incidente in cui non si faccia male nessuno: subito gli organi di polizia intervenuti gli ritirano la patente, poi sospesa in via cautelare. Secondo una prassi consolidata, l’ordinanza prefettizia dispone sospensione graduata in base agli scaglioni dell’articolo 186 del Codice della Strada e quindi, in caso di incidente con ebbrezza grave, opta quasi sempre per il massimo: due anni.
È ragionevole ipotizzare che la sentenza irrevocabile che definisce il processo penale non arrivi prima che la sospensione scada, dunque nel frattempo la patente verrà restituita, decorso il termine della sospensione cautelare. Ma, se la sentenza definitiva è di condanna, l’articolo 186, comma 2-bis del Codice prevede che la patente vada sempre revocata. E l’articolo 219, comma 3-ter ne vieta il nuovo conseguimento prima di tre anni. I conti sono presto fatti: se i tre anni decorrono dal momento dell’accertamento del fatto, e si decurta il periodo di sospensione della patente già scontato a titolo cautelare, la patente può essere nuovamente conseguita, in concreto, già dopo un anno dalla sentenza irrevocabile. Ma se, come ha stabilito la Cassazione, il termine si conta dal giorno dell’irrevocabilità della sentenza, e non può essere ridotto del periodo di presofferto, si resta senza patente per cinque anni.
Insomma, nella pratica si resta appiedati per lo stesso periodo di sospensione cautelare che l’articolo 223, comma 2 riserva normalmente ai casi in cui ci sono feriti o morti. Guidare dopo avere bevuto, dunque, è sempre più un azzardo. Non solo per i danni che si possono causare, ma anche per le sanzioni.
A fronte di un orientamento così severo, è forse il caso di estendere l’istituto dei lavori di pubblica utilità – il cui esito positivo consente una diminuzione fino alla metà della sanzione accessoria sulla patente – anche agli incidenti senza feriti causati da abuso grave di alcol o di droghe, per i quali oggi è vietato. Il periodo senza patente rimarrebbe severo (due anni e mezzo, tra sospensione e revoca) e lo svolgimento di lavoro gratuito in favore della collettività avrebbe effetto risocializzante, stimolando l’imputato a intraprendere effettivi percorsi di recupero per essere premiato con la restituzione anticipata della patente.
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