Sono balzati agli onori delle cronache nelle scorse settimane, con i sindaci di alcune località balneari che hanno denunciato la carenza di personale sulle spiagge (puntando il dito, nel caso di Gabicce Mare, contro la “concorrenza” del reddito di cittadinanza introdotto dal governo gialloverde). Così come in Trentino, dove è stato lanciato l’ “allarme” per la mancanza di circa 15mila lavoratori da impiegare nella raccolta delle mele: impegno che negli anni passati ha attirato soprattutto braccianti provenienti dall’Europa dell’Est.
Sono i contratti di lavoro stagionale: uno strumento che garantisce flessibilità (e adattabilità) nel rapporto lavorativo e, allo stesso tempo, offre una serie di tutele al lavoratore.
Gli ambiti di applicazione
Questo tipo di contratto si applica ai lavori addetti alle attività elencate nel Dpr 1525/1963 – mai aggiornato da un nuovo decreto ministeriale, che però è stato previsto. Le attività spaziano dal lavoro in fiera fino ai corsi di insegnamento professionale, e possono essere individuate dalla contrattazione collettiva: si pensi al Ccnl Turismo, al Ccnl Trasporto aereo o al Ccnl Alimentari-Industria.
La fotografia aggiornata
È innegabile che i contratti stagionali si adattino bene alle esigenze (sia delle imprese, sia dei lavoratori) in alcuni ambiti chiave dell’economia italiana, come i già citati settori dell’agricoltura e del turismo, storicamente caratterizzati da un’alta incidenza del lavoro sommerso. Per questo motivo, negli ultimi anni, hanno avuto molta fortuna, diventando una formula contrattuale sempre più popolare: secondo una stima dell’Inps su dati Uniemens – che escludono lavoratori agricoli e domestici – i contratti stagionali attivati nel 2018 sono stati, nel complesso, 658.969, in aumento rispetto ai 613.661 del 2017 e ai 565.599 del 2016.
Il fatto che il contratto di lavoro stagionale sia rimasto immune da molte restrizioni introdotte dal Dl 87/2018 - dai limiti di durata massima, allo stop and go (le pause obbligatorie fra un contratto e il successivo), dal limite quantitativo nell’uso dei contratti a termine (20% dell’organico stabile) alla maggiorazione contributiva dello 0,5% in caso di rinnovo - suggerirebbe la possibilità di un ulteriore incremento nel 2019.
La fotografia scattata dal report trimestrale Inps sul precariato mostra, invece, una leggera diminuzione delle attivazioni: tra gennaio e marzo dell’anno in corso, infatti, sono stati attivati 91.204 contratti, contro i quasi 103mila dello stesso periodo dell’anno precedente. Nello stesso trimestre di riferimento, d’altro lato, sono cresciute le cessazioni: 78.592 contro le 66.696 del periodo gennaio-marzo 2018.
La spinta del turismo
Che cosa significano questi numeri? È ancora presto per dirlo. Certo è che la stagione estiva – che beneficia di un’ulteriore spinta dal turismo – potrà dare più elementi di lettura sull’utilizzo di questo tipo di contratti.
Non solo. Come spiegato nelle pagine di questa Guida rapida, per le esigenze di prestazioni temporanee e non programmabili, a disposizione dei datori (e dei lavoratori) c’è anche il contratto intermittente (“a chiamata”). Che però ha un campo di applicazione più ristretto. Perché è utilizzabile fino a 25 anni o per chi ne ha oltre 55 (anche pensionato), e prevede una serie di obblighi e un tetto di giornate lavorabili.
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