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La carta prenderà ancora le sue rivincite

Se vi dovesse capitare di leggere il bel libro di Ian Sansom, «L'odore della carta» (meglio se lo fate su carta, a dispetto di qualunque dispositivo digitale...), edito da Tea, vi accorgerete che carta non è solo libri o giornali, come forse capita di pensare di primo acchito, ma che la nostra è una civiltà della carta in tutto e per tutto.
Non a caso, sono stati catalogati ben 14mila usi possibili di tale strumento, semplice e raffinatissimo, capace di farsi umile servo o prezioso materiale.

E basti pensare a parole come "carta d'identità", "carta moneta" o "carta di credito" per capire quanto dobbiamo alla carta come materiale capace di dare segno al nostro stesso modo di vivere e concepire la nostra esistenza.
Non è vero che ci stiamo allontanando dalla carta, non lo faremo, almeno a breve. La "smaterializzazione" di libri e giornali non inganni: la carta prenderà le sue rivincite ancora a lungo. Va combattuta una battaglia che è prima di tutto culturale, ma anche industriale.

Non c'è bisogno di cantare le lodi dei libri cartacei, la piacevolezza dei giornali di carta (che consentono un'organizzazione spaziale dei contenuti superiore all'impaginazione del web: spiace dirlo ma è così) e nemmeno costruire sterili barricate contro il digitale. Bisogna prendere atto che è in corso una rivoluzione ma anche che non si può pretendere che un intero settore industriale, costituito in filiera, che sta facendo sforzi enormi per innovare e rinnovarsi, debba sobbarcarsi tutti gli sforzi da solo. Intanto perché stiamo parlando di un settore che fattura ben 31,5 miliardi di euro (nel 2013) e impiega – tra diretti e indotti quasi 730mila addetti – e poi perché il sostegno a questo settore è una misura di innovazione e, usiamo una parola un po' opaca ma da rispolverare, progresso.

Insomma si guarda avanti, non indietro. Il Governo Letta (ormai uscito di scena ma c'è da augurarsi che il nuovo Governo Renzi possa mostrarsi sensibile al tema) viene dal pastrocchio sull'incentivo all'acquisto di libri, prima benedetto poi ritrattato e corretto: non una bella pagina (per stare in tema).
C'è da sperare anche – ed è questa la prima, fondamentale, richiesta che arriva dall'intera filiera – che almeno il nuovo Esecutivo non si rimangi il finanziamento disposto nella legge di stabilità 2014, che prevede un fondo di 50 milioni nel 2014, 40 per il 2015 e 30 per il 2016.

Ma non basterebbe comunque: perché le richieste più importanti sono di misura industriale e riguardano da una parte il rilancio delle attività – dal credito d'imposta al credito agevolato – dall'altra l'accesso ad ammortizzatori sociali; e sono di misura culturale. Sono incentivi (veri) alla lettura: una misura della quale non beneficia il settore cartario editoriale, ma il Paese nel suo complesso.

Significa fare campagne di promozione pubbliche, prevedere reali detrazioni d'imposta per acquisti di libri in formato cartaceo, fornire contributi ai giovani che intendano sottoscrivere abbonamenti a quotidiani o periodici, una misura che, siamo sicuri, sarebbe di facile attuazione, di non eccessivo esborso e abituerebbe molti all'esercizio della lettura critica, spesso sfumata dalla necessaria brevità della rete.

O, ancora, si potrebbero pensare misure anticongiunturali, tra cui la facilitazione dell'acquisto della carta (credito d'imposta) per chi i giornali o i libri li stampa.
Ciò che sembra chiaro è che l'eccellenza nella stampa, della quale l'Italia mantiene un primato indiscusso e che nel caso del libro praticamente si sovrappone alla stessa storia del libro (da Manuzio a oggi), non può essere mortificata o sminuita. È un nostro saper fare made in Italy che va tutelato e incentivato. Nel mercato interno come in quello estero. Prima ci accorgiamo che si può e si deve sostenere questi saperi, meglio sarà per tutti.

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