Impresa & Territori IndustriaManifatturiero ancora fragile
Manifatturiero ancora fragile
di Silvia Pieraccini | 11 marzo 2014

È stato il "grande malato" degli ultimi anni e per questo oggetto delle maggiori attenzioni e promesse di cure. Ora, finalmente, per il manifatturiero toscano sembra avvicinarsi l'uscita dalla crisi, anche se le previsioni di economisti e operatori restano caute: la ripresa è lenta, faticosa e incerta.
La spia che fa sperare nell'inversione del ciclo si è accesa nel terzo trimestre 2013: arresto della caduta della produzione industriale in atto da due anni (-0,1% rispetto allo stesso periodo del 2012, secondo l'indagine congiunturale Unioncamere-Confindustria Toscana) e ripresa dell'occupazione dopo 14 trimestri consecutivi di calo (+7% rispetto a luglio-settembre 2012 secondo Cgil-Ires, pari a 20mila posti di lavoro in più che fanno salire il totale degli occupati nell'industria toscana a 305.852). Il livello è ancora lontano da quello pre-crisi (368mila occupati), ma segnala un'inversione di tendenza importante anche se il quadro viene da tutti definito «complessivamente fragile».
La fragilità è legata, sul fronte occupazionale, ai nuovi contratti che dimagriscono (-9,8% gli avviamenti nell'industria nel terzo trimestre 2013) e all'esplosione della cassa integrazione, che ha raggiunto il record di sempre: 55,6 milioni di ore autorizzate dall'Inps nell'intero 2013, senza contare i 7,7 milioni di ore di Cig in deroga non ancora autorizzate per mancanza di fondi. Segno di una dicotomia sempre più forte nel tessuto imprenditoriale toscano, con un nucleo di aziende che corre e aggancia la ripresa internazionale - l'Irpet ne ha individuate 3.300 manifatturiere, pari al 5,3% del totale - e una larga fetta che continua a soffrire e cerca strumenti per arginare la crisi.
È per questo che il presidente degli industriali toscani, Pierfrancesco Pacini, predica cautela («È ancora presto per capire se abbiamo di fronte una reale inversione del ciclo o solo una tregua insidiosa») e sollecita politiche industriali a sostegno della ripresa: «Va rilanciata la crescita industriale, perché è l'unica in grado di sbloccare il Pil». La convinzione degli imprenditori è che la risalita sarà comunque difficoltosa, non solo perché la crisi ha bruciato ricchezza e posti di lavoro, ma anche per i «cambiamenti irreversibili in atto negli assetti e nella capacità produttiva», che si sommano agli ostacoli legati alla restrizione del credito e al super euro, e soprattutto alle difficoltà del mercato interno che non accenna a ripartire «complice un caos fiscale pro-ciclico e vessatorio». Sulla stessa lunghezza d'onda i sindacati: «Sono necessari interventi pesanti su credito e consumi e sulle politiche industriali per attivare un nuovo moltiplicatore degli investimenti», sostiene la Cgil Toscana.
L'ancora di salvezza della manifattura toscana, in questi anni di crisi, è stata la capacità di esportare, legata alla presenza di settori industriali diversificati, dalla moda (con il boom della pelletteria, ma anche concia, calzature, tessile e abbigliamento) all'oreficeria, dalla meccanica alla farmaceutica e alla carta, dal vino all'olio alle piante, fino ai prodotti chimici e agli apparecchi elettrici. Al punto che oggi le filiere tradizionali della Toscana brillano in Europa: «I dati del terzo trimestre 2013 - si legge nell'ultimo Monitor dei distretti di IntesaSanpaolo - confermano come le filiere tradizionali della Toscana mostrino tassi di sviluppo significativamente più elevati rispetto a quanto registrato non solo dalle altre aree distrettuali italiane, ma anche dal manifatturiero di Francia e, soprattutto, Germania».
Eppure, nonostante queste performance, la Toscana manifatturiera esce dalle crisi con le ossa rotte. Negli ultimi sei anni il peso del manifatturiero sul Pil regionale è passato dal 21,4% del 2008 al 17,5% di oggi (dati Istat-Irpet), con la perdita di quasi quattro punti percentuali e di 63mila posti di lavoro. Soprattutto, si sono rivelate decisamente più difficili del previsto le operazioni di reindustrializzazione, su cui la Regione aveva scommesso all'inizio della legislatura. Vincoli territoriali e proteste locali hanno, nella maggior parte dei casi, affossato o ritardato molte delle "rinascite" industriali. E così sono ancora al palo la reindustrializzazione dell'ex Eaton di Massa; quella dell'ex zuccherificio Sadam di Castiglion Fiorentino (Arezzo); quella dell'area ex Radicifil di Pistoia. Sul tavolo, da sciogliere proprio in queste settimane, ci sono i nodi delle Acciaierie di Piombino e dell'abbigliamento Mabro di Grosseto. Tra i salvataggi di aziende in crisi riusciti in questi anni spiccano le porcellane Richard Ginori, comprate dalla Gucci del gruppo francese Kering; i filati pratesi Lineapiù, rilevati dall'amministrazione straordinaria dall'imprenditore della moda Alessandro Bastagli; i Nuovi Cantieri Apuania, passati da Invitalia (ministero dello Sviluppo economico) alla Admiral Tecnomar di Giovanni Costantino.