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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2013 alle ore 10:50.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2013 alle ore 11:39.

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È corsa contro il tempo nel Lazio per evitare di perdere i finanziamenti europei. Una débâcle che va scongiurata a tutti i costi, di fronte alle difficoltà economiche della regione. Per quel che riguarda il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) 2007-2013, al Lazio spetta un contributo di 736,9 milioni. Alla fine di maggio 2013, il risultato dei pagamenti effettuati dalla Regione (pari al 43,5% del contributo) era inferiore rispetto al target previsto (48,4%). Al 30 giugno si era saliti al 46% (49,7% la media italiana) ma bisognerà correre per arrivare all'obiettivo di spesa certificata del 59,7% di fine anno. Stesso trend anche per l'altro grande filone di finanziamento europeo, il Fondo sociale europeo (Fse) 2007-2013, che per il Lazio prevede 730,5 milioni. A fine maggio, la spesa certificata era arrivata al 44,9% (in affanno rispetto al target del 48,3%), per salire al 30 giugno al 45,4% (la media nazionale è al 60%). L'obiettivo di fine anno è di arrivare al 59,6 per cento. Va ricordato comunque che, per la cosiddetta regola "n+2", è possibile raggiungere una spesa pari al 100% nei due anni successivi la scadenza del programma, prima di procedere al definanziamento.

«È chiaro – spiega Lorenzo Tagliavanti, direttore della Cna Lazio (artigiani e piccole imprese) – che i fondi europei della programmazione che sta finendo non sono stati utilizzati al meglio. Apprezziamo il tentativo dell'attuale amministrazione di accelerare l'utilizzo in questa fase finale».

Nel Lazio, la vicenda dei fondi Ue è stata travagliata. Sul rispetto della programmazione hanno pesato le dimissioni anticipate di due governatori: Piero Marrazzo, centrosinistra, a fine 2009 e Renata Polverini, centrodestra, a fine 2012. Con la Giunta Polverini, inoltre, si era avviata una riprogrammazione per ritarare i fondi alla luce della nuova crisi economica (con i bandi pensati per aiutare i campioni hi-tech della regione a fare i conti con le imprese che combattevano per non chiudere).

Non sono poi mancati tecnicismi e burocrazia (il bando sulle reti d'impresa, per esempio, richiedeva alle aziende di dimostrare il possesso dello stabilimento produttivo, tagliando di fatto fuori il comparto della nautica, che opera per concessioni annuali). Inoltre, alcune imprese colpite dalla crisi non sono state più in grado di effettuare gli investimenti programmati e quindi non hanno più avuto accesso al cofinanziamento.

La nuova Giunta di Nicola Zingaretti, insediatasi a marzo 2013, ha ereditato quasi sei mesi di blocco totale e si è trovata di fronte due gatte da pelare: oltre a dover dare un colpo di reni alla vecchia programmazione, a breve entrerà nel vivo della gestione dei nuovi fondi Ue 2014-2020. «Per quel che riguarda il Fesr 2007-2013 – spiega l'assessore allo Sviluppo economico Guido Fabiani – abbiamo riattivato o rimodulato bandi per un importo di 235 milioni. Stessa procedura per 57 milioni del Fondo sociale europeo. Si trattava di fondi in attesa o mal programmati, su cui abbiamo agito semplificando le norme: per il Fesr, 75 milioni riguardano start up e reti d'impresa, 75 milioni la green economy e 85 milioni l'accesso al credito».

Fabiani rassicura che procedendo con questa programmazione, «raggiungeremo l'obiettivo di spesa prefissato per fine 2013». Per quel che riguarda i fondi 2014-2020, «dovendo fronteggiare un debito di 22 miliardi, dall'anno prossimo questi saranno la nostra quasi unica leva di sviluppo». Gli assi su cui si muoverà la Regione saranno: «ricerca e innovazione, formazione, inclusione sociale e sviluppo delle aree più in difficoltà», come le zone montane. Già sono in cantiere misure per l'accesso al credito (20-30 milioni per il fondo nazionale di garanzia) e un piano triennale per l'internazionalizzazione.

«La nuova programmazione dei Fondi Ue – conferma Stefano Fantacone, direttore del Centro Europa Ricerche (Cer) – garantirà le uniche risorse che si possono spendere. Bisognerà individuare delle priorità strategiche. Una di esse è sicuramente l'internazionalizzazione, dove il Lazio ha molto spazio da recuperare». Secondo i dati elaborati da Unindustria (l'Unione delle imprese di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo), per il Lazio l'export rappresenta la sola fonte di domanda di beni che continua a crescere, attenuando il calo dell'attività che sarebbe altrimenti molto più grave: nel primo semestre 2013 le vendite all'estero hanno toccato i 9,3 miliardi, con un incremento del 7,9% su base annua (-0,4% a livello nazionale). Il trend, che pure ha subito un rallentamento rispetto ai risultati a due cifre del biennio precedente, colloca la regione tra le realtà più dinamiche in Italia. Tuttavia, a fronte di una quota laziale sul Pil nazionale di circa il 10%, l'export si ferma ancora al 4,8 per cento.

La recessione che ha colpito il Lazio è destinata a durare ancora qualche mese: le stime dell'indagine congiunturale Cna-Cer indicano per il 2013 un calo del valore aggiunto dell'1,8% (in linea con il dato nazionale) e il ritorno al segno positivo nel 2014 (+1%, contro un +0,8% del dato nazionale). «Qualche segnale di ripresa c'è – afferma Tagliavanti –, diminuisce la percentuale di imprese secondo cui il peggio della crisi deve ancora venire. Ma per arrivare a un segnale di inversione chiaro bisognerà aspettare l'inizio dell'anno prossimo e sarà comunque una semplice fine del segno meno». «Negli ultimi 3-5 mesi - conferma Giovanni Quintieri, direttore di Federlazio (associazione di piccole imprese) – le nostre aziende hanno registrato una diminuzione delle richieste di licenziamento e hanno ripreso ad assumere in apprendistato». Nell'ultima indagine congiunturale Federlazio, scendono al 13,6% le aziende secondo cui il peggio deve ancora venire. Ma per andare a ingrossare la platea di quelle che al momento non vedono una via d'uscita dalla crisi (64,8%).

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