Le due associazioni di risparmiatori indicate come le più vicine ai partiti di Governo, paradossalmente, si sono rifiutate di aderire all’accordo alla presenza del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il dato può apparire curioso, eppure va evidenziato. Anzi, nel corso della riunione che si è tenuta ieri a palazzo Chigi non sono mancati momenti di insofferenza proprio tra il presidente del Consiglio e uno dei leader della protesta dei truffati della Banca popolare di Vicenza: Luigi Ugone, leader dell’associazione “Noi che credevamo nella Bpvi”.
Dissenso interno
È accaduto nel momento in cui questi, congiuntamente all’avvocato Andrea Arman, rappresentante del coordinamento Don Torta
(Veneto Banca), ha espresso la sua contrarietà ad accettare la proposta. Ed è stato a questo punto che Conte, con garbo,
ma un po’ spazientito, ha preso la parola dicendo di essere disponibile ad andare avanti: «Se siamo d’accordo tutti, però
- ha sottolineato scandendo le parole il Premier - dobbiamo essere d’accordo tutti, perché se non è così ci ritroviamo con
calma, ci portate le proposte, valutiamo e vediamo, perché noi stiamo cercando di fare tutto il possibile, se poi vi lasciamo
pure scontenti, diciamo la verità, non ha proprio senso». E il premier ha poi confermato che la questione sarà affrontata
nel Consiglio dei Ministri indetto per martedì pomeriggio. Ma che cosa lascia così scontento Ugone?
«Non leggo non firmo»
«L'ultima volta che ho firmato delle carte senza capirle bene è stato quando ho comprato le azioni della BpVi - ironizza Ugone
- Non diamo il nostro consenso a una norma che non abbiamo letto. Non vogliamo lasciare indietro nessuno - spiega Ugone al
«Sole24Ore» - ma i numeri del Mef non ci sono chiari. Restiamo comunque aperti al confronto se ve ne fossero gli spazi». In realtà documenti da firmare non ce n'erano, l'incertezza
semmai verte su un altro punto. Che, in verità, ha lasciato perplesse tutte le associazioni coinvolte nel tavolo di concertazione
con il Governo e sentite dal «Sole24Ore»: quello legato alla percentuale dei «truffati» che potranno essere risarciti subito,
al 30% per le quote azionarie e al 95% per quelle obbligazionarie. Ci si riferisce a tutti coloro che hanno queste due caratteristiche:
un reddito imponibile di 35mila euro e coloro che possiedono valori mobiliari non superiori ai 100mila euro.
Il mistero del 9 per cento
L'esecutivo li ha individuati in una quota del 90% del totale degli aventi diritto. E a molti è apparsa una quota decisamente troppo elevata. Sul come si sia arrivati a questa
percentuale non vi è certezza assoluta. Tenta di rispondere Rodolfo Bettiol, avvocato che sin d'all'inizio segue il coordinamento
delle varie associazioni di risparmiatori e consumatori. «Anche a noi inizialmente è sembrata elevata. Poi abbiamo fatto delle
simulazioni: sottraendo dal numero originario dei soci della Vicenza e di Veneto Banca (207 mila azionisti) il numero di coloro
che, da subito, erano riusciti a liberarsi dei titoli, e in seguito coloro che hanno accettato le ipotesi transattive successive.
Il numero originario in questo modo si è molto ridotto tanto da fare apparire credibile quest'ultima stima».
Chi invece plaude in modo incondizionato alla risoluzione del Governo è Patrizio Miatello dell’associazione Ezzelino III da Onara (meglio noto ai medievalisti come “da Romano”, plenipotenziario dell’imperatore Federico II di Svevia, noto (ingiustamente secondo Miatello che punta addirittura alla sua santificazione) per la particolare violenza nell’esercizio dei suoi poteri: «Il Governo ha scelto la strada giusta per venire incontro ai risparmiatori. E’ riuscito a centrare l’obiettivo di armonizzare le decisioni con la normativa europea. E oggi vedremo quali saranno le sue decisioni definitive».
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