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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2013 alle ore 14:19.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2013 alle ore 17:53.

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NAPOLI - Non si saprà mai perché, tra il 2000 e il 2005, la Campania venne travolta da un'emergenza ambientale che la portò a un passo dal disastro sanitario. E non si saprà mai chi ne è stato responsabile.

L'assoluzione che i giudici della V sezione del Tribunale di Napoli hanno sentenziato nei confronti dei 28 imputati del maxi-processo sul traffico di rifiuti smonta di fatto la ricostruzione avanzata dalla Procura di Napoli, che collegava il dilagare dei sacchetti in città e in provincia ad alcuni "buchi" nel contratto per la gestione del ciclo dell'immondizia firmato tra il Commissariato e l'Ati affidataria (il gruppo Impregilo, le controllate Fibe, Fibe Campania e Fisia Italimpianti).

Un'inchiesta complessa, composta da centinaia di migliaia di atti, che ha visto ben 126 parti civili e 400 testimoni sfilare davanti ai collegi che, col tempo, si sono succeduti nella trattazione del procedimento. Molte delle iniziali contestazioni (dalla frode in pubbliche forniture alla truffa aggravata ai danni dello Stato, al falso e all'abuso d' ufficio) sono andate prescritte, ma quelle restanti non hanno convinto i giudici.

L'ex governatore Antonio Bassolino e i manager Piergiorgio Romiti (ex Impregilo), Armando Cattaneo e Angelo Pelliccia (rispettivamente ex amministratore delegato ed ex direttore generale di Fibe) non hanno dunque colpe per quella sciagurata stagione. E non c'è stato, ad avviso dei giudici, alcun inadempimento nel contratto.

L'ipotesi dei pm Noviello e Sirleo partiva da un dato di fatto incontrovertibile: le strade di Napoli e della provincia, tra il 2000 e il 2005, erano sporche, sporchissime, perché nessuno raccoglieva i sacchetti che andavano ad accumularsi settimana dopo settimana. Scenari raccapriccianti che portarono la Campania sotto i riflettori del mondo intero per una situazione igienico-sanitaria da terzo mondo.

Per gli inquirenti, questo stato di cose era dovuto a una serie di concause. Prima fra tutte i ritardi nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra che, secondo i pm, avrebbero provocato l'accumulazione di milioni di ecoballe in siti di stoccaggio temporanei. Le ecoballe erano state immaginate, nel ciclo integrato dei rifiuti, come il "combustibile" del termovalorizzatore da cui ricavare energia.

In realtà, secondo l'accusa, si trattava di materiale inservibile, perché "manipolato" attraverso un processo di "additivazione" in grado di far raggiungere soltanto sulla carta il potere calorifico previsto per il recupero energetico.

Ma non solo: i pm contestavano anche il fatto che gli 8 milioni di ecoballe sarebbero stati parcheggiati in siti di "parcheggio" temporaneo, e questo nonostante il contratto prevedesse che fosse comunque a cura dell'Ati il loro smaltimento.

Tra le aree utilizzate per il ricovero delle ecoballe c'erano anche i siti per la produzione del Fos (frazione organica stabile), materiale trattato da un processo di "igienizzazione" dei rifiuti che doveva servire per il ripristino ambientale delle cave e che, per la sua scarsa qualità, non era idoneo neppure per le discariche.

Dunque, ricapitolando: i lavori a rilento per la costruzione del termovalorizzatore e l'alterazione dei prodotti trattati (ecoballe e Fos) avevano ingolfato il delicato meccanismo che regolava il rapporto tra la spazzatura quotidianamente prodotta da Napoli e dalla provincia e quella smaltita.

Insomma, un cortocircuito che non solo avrebbe di fatto aggravato la crisi, invece di risolverla (tant'è che le eco balle sono ancora in attesa di essere incenerite) ma avrebbe addirittura alimentato una gigantesca e infernale macchina mangiasoldi perché i CdR (gli impianti dove si produce il combustibile per il termovalorizzatore) non avrebbero accettato nuovi rifiuti finché non fossero stati reperiti nuovi siti di stoccaggio per le ecoballe; contestazione, quest'ultima, che riguarda la posizione di Bassolino che avrebbe firmato le ordinanze di apertura senza conoscere gli atti a fondamento di queste richieste e sostanzialmente subendo passivamente le presunte inadempienze dell'Ati.

Secondo i pubblici ministeri, l'allora governatore nonché commissario per l'emergenza rifiuti avrebbe dovuto rescindere il contratto con le società aggiudicatarie degli appalti. Non averlo fatto, aveva detto il pm Sirleo nella requisitoria, lo aveva di fatto reso concorrente «nella perpetrazione dei reati».

Ricostruzioni, ipotesi, tesi tutte superate da ciò che i giudici della V sezione hanno deciso nella giornata di oggi: tutti i 28 imputati sono innocenti. La stagione dell'emergenza è terminata, ma le cause sono ancora oggi sconosciute.

E, alla fine, hanno gioco facile gli avvocati Massimo Krogh e Giuseppe Fusco, legali dell'ex presidente della Regione Campania, a commentare: «Questa decisione che dimostra la verità dei fatti ripaga Bassolino di un calvario di sofferenza». E chissà che la nuova vita del vecchio politico non riparta da dove tutto era iniziato: con la candidatura a sindaco di Napoli.

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