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RUGBY internazionale

Sei Nazioni e Rugby championship, un (possibile) matrimonio con una dote di 5 miliardi di sterline

Cinque miliardi di sterline nell'arco di 12 anni, da dividere principalmente tra le 12 protagoniste di una nuova competizione, la Nations championship. È questa la proposta della federazione internazionale World Rugby appoggiata da Infront sports and media che venderebbe i diritti tv e acquisirebbe le sponsorizzazioni della maxi-manifestazione.
Maxi perché dal 2022 includerebbe i due maggiori tornei esistenti - il Sei Nazioni e il Rugby championship (che passerebbe da 4 a 6 partecipanti) - utilizzando le finestre di luglio e novembre non più per le classiche tournée delle squadre, ma per far incontrare tutti i team di un torneo con quelli dell'altro. In sostanza,

dopo il Sei Nazioni - e cioè dopo avere affrontato Galles, Inghilterra, Irlanda, Scozia e Francia - l'Italia per esempio potrebbe andare in estate nel Sud Pacifico per affrontare Nuova Zelanda, Australia e Figi e poi attendere a novembre, in casa propria, Argentina, Sudafrica e Giappone. E così tutte le altre squadre europee incontrerebbero, a loro volta, le 6 Nazionali degli altri continenti.

Un budget da salvare
Si tratterebbe di 11 partite per ogni formazione, cui far seguire una finale (forse preceduta dalle semifinali) tra le squadre dei due blocchi con i migliori piazzamenti e attribuire un titolo. Il tutto accompagnato da meccanismi di promozione e retrocessione (ogni due anni, presumibilmente) mitigati da 2 fattori: lo spareggio tra le ultime del Nations Championship “A” e le prime del Nations Championship “B”; con l'assicurazione che fino al 2033 non verrebbero toccati gli introiti per chi partecipa attualmente ai 2 maggiori tornei.

Un conforto non da poco per le federazioni delle nazioni meno “performanti”, tra cui ovviamente quella italiana, che al momento riceve come introiti diretti dal Sei Nazioni circa 20 milioni all'anno, quasi la metà del proprio budget complessivo.

Il Nations Championship non si svolgerebbe negli anni in cui è prevista la Coppa del Mondo (che ha cadenza quadriennale) e dubbi si sollevano a proposito delle estati (anche qui, una ogni quadriennio) in cui i British & Irish Lions vanno a giocare alternativamente in casa di Nuova Zelanda, Sudafrica e Australia: l'ultimo tour si è svolto nel 2017 nella patria degli All Blacks.

In onore agli All Black

I dubbi dell'Europa
Ma non è questo l'ostacolo più significativo sulla strada del grande cambiamento spinto da World Rugby, che diventerebbe anche un attore economico a tutto tondo. In realtà, mentre le federazioni dell'emisfero Sud sarebbero unanimi nell'aderire a un’ipotesi per loro molto conveniente, in Europa le perplessità non mancano.

Le sei “Union” coinvolte - Italia compresa - dovrebbero esprimere un primo orientamento, se possibile unitario, già verso la fine di questa settimana. A quanto risulta sono soprattutto Inghilterra e Scozia a manifestare avversità, mentre comunque la stessa federazione inglese e quella francese chiederebbero a priori un contributo maggiore di quello riservato alle altre 4, dovendo anche confrontarsi con le Leghe dei rispettivi campionati maggiori, vale a dire con club ricchi e indipendenti dagli apporti federali. E se il discorso promozioni\retrocessioni può piacere o non piacere - ma sarebbe in parte anestetizzato dal “paracadute” prospettato - un altro fattore da considerare è la perdita di quella autonomia che le grandi di Europa (tramite la società Six Nations Ltd) sono riuscite fino ad adesso a esercitare.

Le alternative Cvc e Img
Per questo rimangono in piedi proposte che porterebbero fin da subito al tramonto del progetto Nations Championship. Come quella di Cvc capital partners: il fondo di private equity che in un recente passato aveva detenuto le quote di maggioranza della Formula Uno automobilistica e del circuito MotoGp, è entrato recentemente nel mondo del rugby acquisendo per 200 milioni di sterline il 27% della società che gestisce la Premiership, cioè il massimo campionato inglese di rugby. E ha messo sul tavolo 500 milioni - da dividere per sei - per l'acquisto di una quota del 30% del Sei Nazioni. Un'altra realtà

interessata è Img, che a sua volta ha fatto un'offerta consistente.
Si dice che scegliendo questa strada le federazioni europee incasserebbero subito una cifra notevole e rimarrebbero padrone del loro destino, senza “subire” riforme altrui. Nello stesso tempo c'è chi osserva che correrebbero il rischio di perdere completamente il controllo su altre aree: per esempio le trasmissioni delle partite potrebbero migrare verso le pay-tv. Peraltro anche Infront ha fatto intravedere l'idea di un “bilanciamento” tra match gratis e/o a pagamento.
Tutti questi ragionamenti stanno comunque a significare che, Coppa del Mondo a parte, il Sei Nazioni rimane di gran lunga il torneo più appetito dagli investitori e quello più amato dagli spettatori, sugli spalti o davanti al piccolo schermo.

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