SuperChampions versus campionati nazionali. La «guerra civile del calcio», come l’ha ribattezzata il presidente del Torino Urbano Cairo, continua. A un capo del tavolo l’Eca, l’associazione dei top club europei (232 le società affiliate, di cui 109 permanenti) fondata nel 2008 e presieduta da Andrea Agnelli che spinge per una maggiore valorizzazione delle competizioni internazionali; dall’altro capo, l’European Leagues, l’organizzazione che raggruppa le Leghe in rappresentanza di oltre 900 team che il 6 e il 7 maggio ha riunito a Madrid circa 200 proprietari e dirigenti (presente tutta la Serie A tranne Juve, Inter, Milan e Roma).
Questi ultimi contrari a cambiamenti che penalizzino i tornei nazionali e il merito sportivo e pronti a reclamare maggiore democrazia nella governance delle istituzioni calcistiche. In mezzo, a mediare, la Uefa di Alexander Ceferin che ha esposto il progetto (ancora embrionale) della riforma delle competizioni continentali dal 2024 e ha aperto al «dialogo» tra le due anime. Una decisione definitiva sui nuovi format andrà presa entro 12/18 mesi in modo da dare vita tempestivamente all’iter di commercializzazione dei diritti.
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Le potenzialità della SuperChampions
Al centro del dibattito che si è scatenato in queste ultime settimane c’è l’esigenza di Eca di aumentare i propri ricavi,
in uno scenario di concorrenza globale che nel solco dello sviluppo tecnologico dell’entertainment vedrà il calcio contendersi
con Nba, Nfl, Netflix o Disney mercati emergenti e nuovi consumatori. Il senso è «apparecchiare» un prodotto sempre più appetibile.
Attualmente la Champions fattura circa 3,2 miliardi a stagione (15 anni fa i ricavi erano meno di un terzo). Ai 32 club partecipanti
ai gironi vanno 1,9 miliardi. Nelle valutazioni dei big c’è un potenziale inespresso.
Il football americano della Nfl - che ha un bacino d’utenza enormemente inferiore a quello del calcio - produce entrate annuali
per 15 miliardi di dollari e il commissioner Roger Goodell punta a raggiungere i 25 miliardi entro il 2027. Una Champions
con una diversa articolazione che abbia più partite tra club dal grande blasone, match calendarizzati anche nel weekend e
a orari compatibili con il prime time televisivo di Cina, India, Giappone, Indonesia, Nordamerica e mondo arabo (dove ora
spopola la Premier League) potrebbe triplicare gli incassi, arrivando a quota 10 miliardi stagionali (l’accresciuta visibilità
mediatica incrementerebbe anche le sponsorizzazioni) con ricadute positive su tutta la piramide calcistica.
Già oggi le Leghe ricevono grazie alla Champions circa 130 milioni da distribuire ai propri club, anche se non ammessi alle
gare europee (la Serie A incassa circa 15 milioni all’anno). Un meccanismo di solidarietà rivisto - che garantisca più soldi
a tutte le compagini della filiera - potrebbe agevolare perciò la tenuta dell’intero sistema, evitando una nociva contrapposizione
tra ricchi che diventano sempre più ricchi (come teme il presidente della Liga Javier Tebas) e club esclusi dal circuito ultra-remunerativo
dalla massima competizione del Vecchio Continente.
Le preoccupazioni delle Leghe
Altro timore espresso dalle Leghe è che la Super Champions, con posti riservati e licenze pluriennali sul modello dell’Eurolega
di basket, snaturi il modello calcistico europeo basato sui risultati sportivi. Per le Leghe devono rimanere i campionati
a qualificare ogni anno i team alle coppe europee. L’Eca e la Uefa non si sono ancora espresse sul punto, ferma restando la
necessità/opportunità che scendano in campo più frequentemente le squadre più note per aggredire i nuovi mercati tv.
Dal 2021 saranno strutturati tre tornei Uefa con 32 team ciascuno (la Champions, l’Europa League e una nuova manifestazione
per i paesi dal ranking più basso) per dare spazio anche ai club minori. E dal 2024 si sta valutando l’idea di creare un «ascensore»
tra le tre manifestazioni. Anche in questo caso i maggiori introiti della Super Champions potrebbero poi essere devoluti alle
64 squadre ammesse all’Europa League 1 e 2.
La competitive balance
Sia Tebas, sia Cairo hanno sottolineato il fatto che con la Super Champions potrebbe allargarsi la «forbice» dei fatturati
e venir meno la competitive balance nei Campionati. In realtà si tratta di una deriva che ha già profondamente inciso sulle
dinamiche dei tornei interni, come delle Coppe europee. Negli ultimi 15 anni, per esempio, in Spagna hanno vinto il titolo
soltanto tre club (Barcellona 10 volte, Real 4 e Atletico Madrid 1), laddove nei precedenti 15 anni (dal 1990 al 2004) avevano
trionfato 5 squadre diverse. In Germania tra il 2019 e il 2005 hanno vinto in 4, con il Bayern Monaco che ha fatto incetta
di titoli (11), mentre nel quindicennio precedente sono state 5 le squadre che hanno conquistato la Meisterschale.
Lo stesso è accaduto in Premier, dove il solo Leicester ha rotto l’egemonia di Manchester United (5 titoli), Chelsea (5) e
Manchester City (4), mentre dal 90 al 2004 avevano conquistato il vertice in 5 (tra cui Leeds e Blackburn). In Italia il venir
meno dell’equilibrio competitivo è stato ancora più marcato. Gli ultimi 15 scudetti assegnati sono stati appannaggio di 3
club: Juventus (8), Inter (5) e Milan (2). L’albo d'oro della Serie A tra il 1990 e il 2004 ha visto alternarsi ben 7 formazioni
(oltre alle 3 big, Napoli, Roma, Lazio e Sampdoria).
Appare tutto fuorchè un caso, perciò, se nelle ultime 15 edizioni della Champions League soltanto 4 volte sono approdate alle
semifinali società che non appartenevano al gotha rappresentato dalla «top15» per fatturato stilata annualmente da Deloitte
(il sorprendente Ajax quest’anno, il Monaco nel 2017, il Villareal nel 2006 e il Psv nel 2005). I club più ricchi (Real Madrid,
Barcellona, Bayern Monaco, Liverpool e Manchester United, Chelsea, Juventus) sono ormai stabilmente presenti alle fasi finali
della manifestazione e hanno incassato soltanto negli ultimi 10 anni più di mezzo miliardo, scavando anche per questo un divario
con gli avversari in patria e fuori. Che il calcio europeo sia diventato un oligopolio, dunque, è un dato di fatto (i 20 team
con gli introiti più alti si avviano a fatturare da soli quasi 10 miliardi, cioè il 50% dei proventi realizzati da tutti i
700 club che disputano le massime serie delle federazioni europee).
La «sport industry» globale accentua questa trasformazione e difficilmente si potrà contrastarla con una diversa governance.
La Uefa sembra aver preso atto di ciò, anche per frenare eventuali diaspore. Spetterà tuttavia a Ceferin il compito di salvaguardare
la «base», introducendo criteri di distribuzione delle risorse più eque e dando il giusto riconoscimento alle diverse competizioni
e alle aspirazioni dei singoli club.
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