Sono bastati 180 minuti per la qualificazione agli ottavi della Nazionale italiana di calcio femminile. 180 minuti dopo vent’anni
d’assenza dai Mondiali. Un risultato che probabilmente neanche le calciatrici si permettevano di sognare alla vigilia di Francia
2019. Ma tant’è che con un bottino di sette gol la qualificazione è già stata portata a casa. Domani con il Brasile basterebbe
un pareggio per terminare in testa il girone. E i risultati ottenuti sul campo hanno avuto un immediato riscontro mediatico. Oltre 3,5 miloni i telespettatori per la prima partita e oltre 3 milioni per
la seconda. Non ultimi gli sponsor, che in molti casi si sono mossi in anticipo, hanno scelgo calciatrici simbolo per rappresentare
i loro brand. Cosa manca allora? A farlo presente è stato il presidente della Figc Gabriele Gravina: a queste atlete manca
il professionismo.
«È ora di riconoscere il professionismo alle ragazze del calcio che giustamente lo rivendicano. In tempi non sospetti, abbiamo suggerito una proposta che consentirebbe ai club femminili, così come per il primo livello del professionismo maschile, di attutire l'impatto dei costi del professionismo, beneficiando di un credito d’imposta da reinvestire» ha dichiarato il numero uno della Figc all’Ansa dopo la seconda partita delle azzurre contro la Giamaica.
Calciatrici dilettanti anche se mondiali
Sì perché, anche le calciatrici che militano in club storici e di livello internazionale come Juventus, Milan e Inter, sono in realtà inquadrate come dilettanti. Cosa vuol dire? Vuol dire che è esclusa qualsiasi forma di lavoro, che sia autonomo o subordinato, con conseguenti mancanze di tutele e diritti, proprie del professionismo. «Le giocatrici, ad esempio, non hanno contratti di lavoro che garantiscano compensi mensili, compensi previdenziali, tutele assicurative e non hanno la possibilità di accedere a contrattazioni collettive. In alcuni sport – il calcio ad esempio – hanno anche tetti massimi salariali» osserva Sara Messina, avvocata di diritto sportivo iscritta all’associazione Wislaw (Women in sports law) .
Il tutto nasce dalla Legge 91/1981 – “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” , nota ai più come la “Legge sul professionismo sportivo”, che nell’enunciare all'art 2 l’ambito applicativo, lascia campo aperto alle Federazioni, rimandando loro la scelta di aderire o meno al settore professionistico e al Comitato Olimpico Nazionale Italiano – CONI – la definizione di professionismo e dilettantismo. Ad oggi sono solo quattro le Federazioni Sportive Nazionali – e più precisamente Calcio, Basket, Golf, Ciclismo – ad aver riconosciuto al proprio interno il professionismo e soo per certi livelli. Fino a pochi anni fa erano professionisti anche gli atleti tesserati per la federazione italiana pugilistica e quella motociclistica, ma i costi erano troppo elevati da sopportare e hanno deciso di tornare al dilettantismo. Inquadramenti che valgono solo per gli atleti uomini.
Ora il calcio potrebbe fare da apripista per la svolta professionistica per le atlete. «Al di là del risultato finale nella Coppa del Mondo, che ovviamente ci auguriamo sia il migliore di sempre - ha dichiarato Gravina - l’apprezzamento e il consenso trasversali che le ragazze Mondiali si sono sapute meritare andrebbe adesso accompagnato da un progetto che individui l’equilibrio tra un nuovo status lavorativo, che tutto il movimento femminile giustamente rivendica, e le note criticità economiche che stanno già condizionando negativamente il sistema professionistico di base».
Negli ultimi decenni il calcio femminile in Italia è stato sostenuto soprattutto da associazioni sportive dilettantistiche, che hanno risorse finanziarie limitate e oggi si trovano a giocare un campionato con i grandi club italiani. Questi ultimi (come Juventus, Milan, Roma, Fiorentina, etc) hanno dovuto costituire un proprio settore femminile recependo una decisione della Figc che lo imponeva come condizione per l’ottenimento della licenza nazionale. «Da questa riforma e dalla riorganizzazione dei campionati di serie A e di B da parte della Figc, oggi il campionato italiano è certamente più competitivo e attrattivo anche per tv e sponsor. Campionati che vedono affrontarsi club professionistici come Juventus e Milan con realtà, che storicamente hanno sostenuto il calcio femminile, ma che a lungo andare potrebbero essere in difficoltà a sostenere costi come i grandi club» osserva Messina, che aggiunge: «L’inquadramento come professioniste delle calciatrici deve ora avvenire con una riforma ad hoc e graduale che permetta al movimento femminile un pieno sviluppo e soprattutto una piena sostenibilità».
Su questo il presidente Gravina è stato chiaro: « In tempi non sospetti abbiamo suggerito una proposta che consentirebbe alle
società di calcio femminile, così come per il primo livello del professionismo maschile, di attutire l’impatto dei costi del
professionismo, beneficiando di un credito d’imposta da reinvestire nel settore giovanile e nelle infrastrutture. Solo così,
infatti, si creerebbero le
giuste condizioni per riconoscere alle calciatrici tutti i vantaggi del professionismo senza arrestare lo sviluppo di questa
splendida disciplina, liberando risorse importanti per stabilizzare la crescita che è sotto gli occhi di tutti. Il calcio
femminile ha conquistato il cuore degli italiani e si è meritato questo provvedimento, per le ragazze che lo praticano ad
alti livelli e per l'intero movimento che è in forte espansione».
I “contratti” da dilettanti delle calciatrici italiane
Le giocatrici italiane non hanno quindi contratti di lavoro, accordi collettivi, trattamenti previdenziali e assicurativi
e sono sottoposte al vincolo sportivo fino al 25esimo anno di età (abolito nel 1995 per gli sportivi professionisti) . «Analizzando
più nel dettaglio il contratto che lega le calciatrici ai club, possiamo notare come questo sia definito “accordo economico”
, cioé una scrittura privata redatta su modulo federale che disciplina il rapporto tra le parti e il trattamento economico
delle calciatrici. Dall’anno scorso, proprio per cercare di venire sempre più incontro alle esigenze sia del club che delle
calciatrici, l’articolo delle Norme Organizzative Interne Figc (che regolano gli accordi) è stato modificato garantendo alle
giocatrici ulteriori bonus cumulativi oltre al tetto massimo di compenso di 30.658,00 euro annui previsto per loro» sottolinea
Messina. Nel dettaglio i club di calcio possono corrispondere alle atlete indennità di trasferta e rimborsi forfettari, voci premiali e un ulteriore bonus per la sottoscrizione di accordo pluriennale.
In realtà negli ultimi anni sono state diverse le proposte di legge presentate in Parlamento per una riforma del settore professionistico in generale, che potevano avere una ricaduta anche sul movimento femminile. I risultati sportivi della Nazionale italiana potrebbero ora finalmente aprire la strada per una riforma, ormai necessaria.
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