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on demand economy

Colf, badanti e baby sitter, con le app si può spazzare via il lavoro nero

Il lavoro sommerso di colf, badanti e baby sitter? Potrebbe essere frenato da un'arma inedita, o quasi: le app. Piattaforme per l'incontro di domanda e offerta di lavoro occasionale, come alternativa a voucher e – soprattutto – ai pagamenti in nero. È una delle frontiere della cosiddetta “on demand” economy, che entra in gioco, per esempio, con gli affitti di Airbnb e i trasporti di Uber, ma anche con siti come Tabbid, quello dei lavoretti. Uno dei business sulla sua scia sono proprio le pulizie a domicilio, dove la cultura del nero è una prassi che copre più della metà dei rapporti. Un'indagine Censis, commissionata da Assindatcolf, stima un totale di 876mila irregolari fra i collaboratori domestici reclutati ogni anno da 2 milione di famiglie italiane. Il 55% del totale, su una spesa da 19,3 miliardi di euro solo in addetti alle pulizie.

Helpling e gli altri: le pulizie si ordinano con una app
La risposta potrebbe essere racchiusa nelle piattaforme, per smartphone o Pc, specializzate in prenotazione e “consegna” dei servizi. I vantaggi: pagamenti tracciati e connessione più facile tra domanda e offerta, con un maggior ventaglio di opportunità per i collaboratori e più garanzie di qualità a favore dei clienti.  Il gigante del settore è la tedesca Helpling, la «piattaforma leader nella prenotazione di addetti alle pulizie» che ha incassato finanziamenti per 56 milioni di euro. Ma la concorrenza è fitta, con tanto di start up del tutto made in Italy come la milanese EasyFeel, fondata da tre ex studenti Bocconi e cresciuta fino a muoversi su un raggio di cinque città italiane. Sullo sfondo, secondo una ricostruzione di McKinsey, c'è un mercato delle «piattaforme di connessione lavorative» capace di generare un impatto per 2,7 trilioni di dollari entro il 2025 su una platea di 540 milioni di beneficiari.

I numeri (e i rischi) del mercato nero
È la stessa Helpling a evidenziare alcuni numeri sul mercato nero delle pulizie in Italia. Secondo dati segnalati da Alberto Cartasegna, fondatore di Helpling Italia, il 70% dei suoi attuali clienti ricorreva abitualmente al nero contro un 15% interessato al contratto  e un 3% orientato sui voucher.  Non che il problema sia solo nostrano, anzi. Dati della Commissione Europea sottolineano come un cittadino Ue su 3 non sia a conoscenza dei rischi che corre per ogni lavoratore occupato irregolarmente, ad esempio multe fino a 5mila euro e reclusione dai 3 ai 6 mesi (Dlgs. 286/98).

La totalità degli intervistati, in compenso, riconosce il vantaggio di ricorrere al sommerso per prezzi più vantaggiosi e minori “interferenze” burocratiche sulla fruizione di un servizio. A conferma degli scetticismi sui vecchi contratti e in particolare i voucher, buoni lavoro Inps, già nel mirino dello stesso presidente dell'istituto Tito Boeri come una delle «nuove frontiere del precariato». Un allarme, quello di Boeri, rivolto soprattutto alla tenuta delle casse previdenziali: il valore minimo delle contribuzioni previste per i servizi pagati in voucher, con un tetto annuo alzato dal Jobs Act a 7mila euro netti (9.333 lordi, ndr), rischia di creare un buco contributivo su una forma di impiego che ha finito per rincalzare anche parte dei rapporti a tempo determinato.

Pro: più regolamentazione. Contro: rischio ribasso sui salari
Thomas Manfredi, ricercatore e statistico all'Ocse, non si stupisce che le app per le pulizie a domicilio incassino un successo simile in Italia. «Il punto è che si parla, essenzialmente, di vie di fuga da mercati iper-regolamentati e con qualche inefficienza. Sono app per facilitare il matching, far funzionare meglio il meccanismo domanda-offerta» dice Manfredi. I limiti? Il proliferare di app per la somministrazione di lavoro semplifica la ricerca ma rischia di creare una spinta al ribasso sulle retribuzioni. «Anche se resto dell'idea che, sul lungo periodo, sia sempre meglio regolamentare e provvedere a una maggiore tracciabilità dei pagamenti. Cosa che non può succedere con il mercato nero».

Marta Fana, PhD candidate alla SciencesPo di Parigi, invita alla prudenza nel valutare gli strumenti digitali come un deterrente del sommerso. L'equazione fra maggiore tracciabilità e maggiore regolarità può avere un senso, purché non si riduca a  soluzione «di facciata» del problema di fondo. «Noi possiamo anche creare un lubrificante per far incontrare domanda e offerta, il problema è che non è sempre possibile controllare i rapporti tra committente e lavoratore. Supponiamo che si creino un certo numero di ore retribuite e tracciate: nulla ci impedisce di pensare che se ne accordino altrettante informalmente» dice Fana. Insomma, «l'incentivo ad usare una app resta ancorato alla buona fede, perché non è detto che se ne faccia sempre l'uso previsto». Anche Fana evidenzia dei timori sulla tenuta dei salari, già modesti ed esposti al rischio della concorrenza sul web. «E allora, oltre al problema del lavoro nero, si aprirebbe anche quello delle retribuzioni».

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