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La prova di Oculus Rift: buona la partenza, da migliorare l’ambiente desktop

  • –di Emilio Cozzi

Il crepitio a sinistra proviene del caminetto in pietra nera, uno di quelli lussuosi e sospesi a mezz'aria. Un tappeto si adagia fin quasi alla scala, sulla destra, e si interrompe poco prima di una teca con tanto di robot e maschere africane all'interno. Di fronte, ecco il menu, con l'accesso allo store online, la libreria e l'account personale. Così l'interfaccia utente di Oculus Rift dà il benvenuto: costruendo attorno a chi la usi un appartamento sontuoso e dal vago gusto giapponese – fuori si intravedono addirittura alberi di pesco in fiore e tante altre “Oculus Home” fluttuanti.

L'effetto sembra il manifesto di quello che il visore di Palmer Luckey, acquistato da Facebook nel 2014 per due miliardi di dollari, promette dal suo concepimento: rendere confortevole la migrazione verso la realtà virtuale. Proprio come per il suo concorrente più accreditato, quel Vive prodotto da Valve e Htc, i suoi limiti sono “esogeni”, non derivano da qualche malfunzionamento dell'hardware, o da un'esperienza insoddisfacente.
Anche il famigerato senso di nausea causato dall'uso del caschetto è stato ridimensionato grazie all'Asynchronous Timewarp, un software capace di ridurre la latenza di sincronizzazione fra la posizione della testa e l'immagine visualizzata. Perché forse complice la cautela di Mark Zuckerber – secondo il quale tutti ci ritroveremo “dall'altra parte” fra non meno di 10 anni -, gli sviluppatori di Oculus sembrano essersi spesi per rendere il più invitante possibile la realtà virtuale e per ammorbidirne il primo impatto.

Il menu è chiaro, diviso fra videogiochi, film e applicazioni. Ci si interagisce tramite il joypad della Xbox One in dotazione, o attraverso un telecomando con 5 tasti e un touchpad, grosso il doppio di un accendino, ma più leggero ed egualmente intuitivo. Per sapere dove vi muoviate, Oculus vi guarda attraverso un sensore di tracciamento fornito con piedistallo, da sistemare in posizione frontale e leggermente rialzata per una resa ottimale. A parte il pc dai requisiti esosi – ne scriviamo più avanti – l'approdo ai lidi virtuali richiede di scaricare il software dedicato di circa un Giga, l'attivazione obbligatoria di un account e un breve settaggio. In tutto, l'anticamera dura 40, 45 minuti.

Dopo i quali vi troverete ad ascoltare il crepitio del primo caminetto virtuale della vostra vita. Oculus dispone infatti di cuffie e microfono integrati (rimuovibili), di maschere intercambiabili per chi indossi occhiali da vista e consente tramite una levetta di regolare la distanza intrapupillare fra i 58 e i 72 millimetri.

Che cosa ci ha convinto
Il visore di Facebook è confortevole. Più leggero di Vive – 470 grammi invece di 555 - è sorretto da una trama di cinghie semirigida perfetta per distribuirne il peso. Il suo bloccaggio sul volto, semplice grazie a tre strap, consente sempre la messa a fuoco migliore.
Non solo; un sensore all'interno dell'headset disattiva audio e video quando non in uso, scongiurando surriscaldamenti o danni inutili.
Ordinato e semplice, il menu svela un'offerta piuttosto ricca e destinata a crescere in fretta – Oculus ha promesso 100 giochi entro marzo 2017 e grazie a partnership come quella con 20th Century Fox una cineteca altrettanto corposa.
Pur alto (742 euro compresa la spedizione), il prezzo è più competitivo di quello del concorrente diretto. E, oggi, vanta più contenuti, anche per l'appoggio sia sulla piattaforma di proprietà che su Steam. Rispetto agli altri, Oculus è anche meno ingombrante: necessita di un solo sensore e non sparge troppi cavi per casa.
Occorre però sottolineare come parte di questi pregi dipenda dalla mancanza, ingiustificabile, degli Oculus Touch, i motion controller capaci di rendere l'esperienza virtuale a “portata di mano”. Per quanto la lacuna sarà colmata entro fine anno, adesso l'esperienza è, stricto sensu, monca. Qui il video di Escape the living dead.

Che cosa non ci ha convinto
Dal punto di vista grafico, la qualità dell'immagine di Oculus Rift equivale a quella di Htc Vive: con una definizione di 1080 x 1200 pixel a occhio, una frequenza di aggiornamento di 90 Hz e un campo visivo di 110 gradi sulla diagonale – per tradurre, circa 233 milioni di pixel generati ogni secondo - i due visori garantiscono un'esperienza eccellente e quasi identica.
Eccellente, perché nonostante siano ancora percepibili effetti di screendoor – la visione dello spazio fra i pixel – e pixelation – quando dell'immagine si vedono i quadrati che la compongono -, l'immersione negli ambienti vr è così convincente da far dimenticare il problema in pochi secondi.
Quasi identica, perché i colori dell'headset di Valve e Htc sono più vividi, mentre più marcata è la fatica che il Rift fa nel gestire le luci crepuscolari, con un offuscamento leggero ma sgradevole in presenza di forti contrasti.
Ben più mortificante è invece l'isolamento dall'ambiente desktop: salvo usare applicazioni aggiuntive come “BigScreen” o “Virtual Desktop”, una volta indossato, Oculus Rift non permette interazioni fuori dalla sua interfaccia e la sensazione è aggravata dall'assenza di controller capaci di simulare le mani. Proprio alla luce di quanto il visore sia efficace nel trasportare altrove, si tratta di un difetto ben percepibile.
Con Htc Vive, Oculus condivide invece la necessità di computer di fascia medio alta per funzionare, vincolo che rende il biglietto d'ingresso alla realtà virtuale non alla portata di ogni portafoglio. Per giunta, il visore di Facebook richiede 8 Giga di Ram, il doppio della memoria necessaria al concorrente.
In tutto, servono circa 2mila euro per concedersi le delizie di un ambiente vr. Almeno nei prossimi mesi.
Un gioco che molti osservatori ritengono non valga la candela.

Conclusioni
Se simulatori come “Eve: Valkyrie”, compreso nel prezzo, “Project Cars” e anche la versione test dell'italiano “Assetto corsa” lasciano senza fiato, non meno sorprendenti sono giochi come “Lucky's Tale”, “AirMech: Command” o “Chronos”, platform e adventure in terza persona in grado di suggerire approcci nuovi a generi che si pensava non avessero più nulla da dire.
Titoli come “Adr1ft” o “The Climb”, capaci il primo di abbandonarvi in una stazione spaziale distrutta, e il secondo su pareti verticali da dominare in arrampicata libera, indicano invece le prospettive più ambiziose della tecnologia, la promessa di esperienze mai così coinvolgenti e, chissà, adattabili a esigenze e scopi diversi.

Un discorso ribadito dai film già disponibili, come “Invasion”, del regista di “Madagascar”, Eric Darnell, “Lost” o “Collisions”, presentati al Sundance, e da applicazioni come “Jaunt” o “The Apollo 11 Vr Experience”: una varietà di contenuti che tocca lo sport quanto i viaggi o la cronaca e dimostra come la realtà virtuale suggerisca un nuovo approccio all'informazione, grazie al quale sia possibile rivivere in prima persona gli eventi più che farseli raccontare.
Detto altrimenti, che oggi l'uso di Oculus Rift si limiti all'intrattenimento, è un dato di fatto.

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