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Hasselblad, gli artigiani-scienziati della fotografia

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il ritorno di un grande marchio

Hasselblad, gli artigiani-scienziati della fotografia

La prima cosa che vene in mente visitando la fabbrica Hasselblad è in contraddizione con tutto quello che solitamente abbiniamo al termine “innovazione”. Si immagina infatti grandi società che, forti del loro ingente fatturato, investono in reparti di R&D composti da decine di persone. Dall'altra parte invece si pensa a piccole aziende poco più che artigianali, che proprio per la loro piccola struttura non hanno la capacità di innovare, e si limitano ad occupare mercati di nicchia con produzioni magari particolari, ma per cui raramente è possibile utilizzare il sostantivo “innovazione”.

Invece, nella factory Hasselblad si è riusciti a combinare, soprattutto negli ultimissimi tempi, dopo una serie di anni difficili, la capacità di innovare con quella di essere presenti sul mercato. La nuova uscita, la X1D, lo testimonia. Poco marketing, tanto prodotto. Certo, il prezzo lascia la X1D nel campo degli “oggetti da sogno”, quelli che molti desidererebbero possedere, ma pochi possono realmente permettersi. Però si tratta sicuramente di un oggetto di pregio: per pochi sì, ma con una qualità costruttiva e delle caratteristiche tecniche che la fanno distinguere. E che potrebbero convincere molti a fare il salto, diventando per la prima volta clienti del blasonato marchio fondato nel 1941 da Viktor Hasselblad.

Göteborg è una delle città più grandi della Svezia – mezzo milione di abitanti più il circondario- e, nella migliore tradizione scandinava, è un posto pulito e ordinato, dove ci si sente a proprio agio appena arrivati. Per giungere al building di Hasselblad, il sistema più veloce dal centro storico è prendere un traghetto, che gratuitamente ti trasporta oltre il fiume Göta älv, in una zona dove tra l'altro c'è l'università. Palazzi industriali bassi, ma lindi come da migliore tradizione scandinava: a ora di pranzo, i lavoratori Hasselblad e delle altre aziende dei dintorni si mescolano con gli studenti universitari e mangiano i loro panini al salmone seduti sulle panchine prospicienti il fiume. Entrati nell'edificio, sembra di essere più in un laboratorio di ricerca di qualche ateneo scientifico che nella classica fabbrica: nella grossa stanza ove si producono le fotocamere, operai specializzati –un anno di formazione interna prima di essere dislocati al loro posto di lavoro definitivo- in cuffietta bianca montano con attenzione certosina i vari pezzi delle macchine fotografiche.

Per realizzare l'assemblaggio finale, sono necessarie sei ore a pezzo. Prima di uscire dalla fabbrica, il collaudo: per ogni fotocamera vengono fatti circa 700 scatti, per testare al meglio tutte le componenti. Solo dopo, le Hasselblad si avviano verso la distribuzione.
Ad accogliere a Göteborg la piccola truppa di giornalisti italiani, troviamo il Ceo dell'azienda svedese. Si tratta di un oriundo, l'olandese Perry Oosting, una persona alla mano, spiritosa e amante del nostro Paese, tanto da conoscere ben più dei rudimenti della nostra lingua a e da recarsi, nei momenti di riposo, con la moglie nella campagna toscana, ove possiede –parole sue– un fienile ristrutturato.

Oosting è da circa due anni alla guida della piccola società (in tutto i dipendenti sono circa 250), e la sta conducendo fuori dagli errori che erano stati fatti nel recente passato, dove alcuni modelli che non spiccavano in originalità avevano rischiato di dichiararne la fine. Ora però l'azienda si è concentrata sui modelli della serie H, legati a filo doppio al passato di Hasselblad fin dall'uscita della mitica 500c, nata nel 1957 e che molti utilizzano ancora, magari grazie al dorso digitale CFV-50c. Oltre, ovviamente, sull'ultima nata X1D. Hasselblad non dimentica mai i propri clienti, e a fronte di un prezzo di vendita certo non alla portata di tutti, mette in mano al fotografo un prodotto destinato a durare nel tempo: una particolarità di cui tenere conto, in un settore dove l'evoluzione tecnologica ha prodotto, soprattutto negli ultimi due decenni, la morte (prematura?) di decine di modelli diversi.

Oosting racconta senza peli sulla lingua che uno dei problemi che ha dovuto affrontare per ritirare su la società dopo i tempi di magra è stato anche quello del welfare svedese. Per esempio, un uomo la cui funzione è praticamente insostituibile ha chiesto e ottenuto, con il figlio ormai grandicello con diversi anni di vita, un congedo parentale di nove mesi. La legge svedese lo consente, e quindi Hasselblad ha dovuto risolvere questo problema. Ancora, lo sviluppo e la messa in produzione della nuova X1D è stata una grandissima sfida, ci spiega ancora Oosting: progetto e assemblaggio finale interamente interno, un mercato nuovo da esplorare. O meglio, praticamente da creare ex novo: non si era mai vista una mirrorless “trasportabile” (le dimensioni e il peso della X1D la rendono adatta anche ad utilizzi ben diversi rispetto alla fotografia da studio) ma senza compromessi con la qualità, sia a causa del sensore medio formato da 50 Mpixel sia alle altre caratteristiche. Archiviato il periodo grigio, ora il piccolo-grande produttore svedese ha aperto una nuova sfida.

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