Dopo soli sei mesi dal suo arrivo il presidente di Uber, Jeff Jones, ha rassegnato le dimissioni, annunciate prima da lui stesso a mezzo stampa e poi da uno stringato annuncio di un portavoce della società: «Vogliamo ringraziare Jeff per i suoi sei mesi nella nostra società e augurargli il meglio per il futuro». Ma le dimissioni di Jones non sono le uniche: ha deciso di andarsene anche Brian McClendon, vicepresidente e uno degli ingegneri a capo del progetto di guida autonoma, arrivato alla società californiana da Google un paio di anni fa.
«Punti di vista incompatibili»
Jeff Jones ha spiegato in un intervento sul sito Recode le ragioni della sua decisione: «Sono entrato in Uber perché condividevo la sua missione, e la sfida di costruire capacità globali che avrebbero aiutato l'azienda a maturare e prosperare nel lungo termine. Ma è ormai chiaro che il mio punto di vista e l’approccio alla leadership che ha guidato la mia carriera non sono compatibili con ciò che ho visto e con la mia esperienza all’interno di Uber, e quindi non posso continuare a restare presidente della società».
L’addio di Jones non è avvenuto senza polemiche, come si deduce da un comunicato interno del ceo della società di San Francisco, Travis Kalanick, inviato via mail ai dipendenti: «Dopo che abbiamo annunciato la nostra intenzione di assumere un coo (Chief operating officer), Jeff è giunto a una decisione difficile. È un peccato che questa sia stata annunciata attraverso la stampa, ma ho pensato che fosse importante inviare a tutti voi una e-mail prima di fornire un commento pubblico».
Assunto per migliorare l’immagine della società
Secondo alcune fonti, tuttavia, il prossimo arrivo di un nuovo manager come coo non sarebbe la causa principale della scelta di Jones. L’ormai ex presidente avrebbe infatti capito durante il suo periodo a Uber come la situazione complessiva all’interno non sia affatto tranquilla, soprattutto considerando che Jones era entrato in Uber anche per cercare di migliorare l’immagine della
società, appannata sia dalle dispute con i taxi tradizionali sia da altre vicende che invece sono accadute proprio nel periodo in cui Jones era operativo, come l’accusa di furto di proprietà intellettuali da parte di Waymo, una società di Google che lavora alla guida autonoma, o alcuni casi di «sexual harassment» (molestie sessuali) da parte di driver della società negli Stati Uniti.
L’esodo dei top manager
Jones, 48 anni, proviene dalla società di commercio elettronico Target di Minneapolis, dove era chief marketing officer. Il suo ingresso ufficiale in Uber risale al 19 settembre scorso. Quando fu scelto da Kalanick, lo stesso ceo della società californiana aveva detto che Jones era la figura adatta per fondere le capacità operative di Uber con il marketing, e che era stato scelto anche per il suo «forte ethos».
Gli abbandoni di Jones e McClendon non sono gli unici ad aver recentemente colpito la società californiana: all'inizio del mese avevano rassegnato le dimissioni, tra gli altri, Ed Baker, vice presidente responsabile di prodotto e crescita, e Charlie Miller, uno dei principali ricercatori nel settore della sicurezza. Evidentemente, il tentativo di “pulire” Uber dalle polemiche e dalle accuse che da molte parti si sono levate contro il servizio di trasporto privato alternativo ai taxi non ha avuto, finora, un buon esito.
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