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Dipendenza da smartphone, è ora che anche Google e Apple si muovano

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il dibattito

Dipendenza da smartphone, è ora che anche Google e Apple si muovano

(Reuters)
(Reuters)

Monitoriamo praticamente tutto: il numero di passi che facciamo, i chilometri di corsa, le vasche in piscina; gli smartwatch ci dicono se è il momento di alzarci dalla sedia perché siamo seduti da troppo tempo, ci chiedono anche di prendere un bel respiro, ogni tanto. L’idea di fondo dei produttori di tecnologia è di offrire tutto questo per “migliorare” la nostra vita quotidiana, renderla più attiva e consapevole, tra una notifica di WhatsApp e una di Facebook. Ebbene, non funziona. Perché nessuno ci dice se è il momento di spegnere le chat, nessuno ci informa su quante volte abbiamo aperto Facebook, Instagram o magari twitter durante il giorno. Basterebbe guardare un numero per impressionarci, forse.

Tony Fadell ha preso una posizione che qualche tempo fa si sarebbe potuta considerare coraggiosa, e forse lo è ancora nel microscopico ma molto globale e ricchissimo gotha dei top manager della Silicon Valley: «Gli adulti soffrono di dipendenza, non solo i bambini!». Era un commento alla notizia della lettera dei due investitori Apple preoccupati dagli effetti negativi dell’uso degli smartphone. È uno spartiacque. Fadell non è l’ultimo arrivato: è un ex Apple, considerato il padre dell’iPod, poi fondatore di Nest, l’azienda che con un termostato intelligente è riuscita a farsi comprare da Google per 3,2miliardi di dollari quattro anni fa. Il mondo della tecnologia si preoccupa di come fare in modo che gli utenti la usino di meno. Un paradosso, ma che ha un senso: ricorda quando le aziende elettriche hanno iniziato, al netto del marketing, a parlare di risparmio energetico.

Numerose ricerche sottolineano i rischi dell’uso eccessivo di smartphone e social. E la dipendenza è facilmente verificabile: «La tecnologia è disegnata per agganciarci. L’email arrivano in continuazione. Le piattaforme social non hanno fine. Twitter? Il feed non finisce mai davvero» ha spiegato qualche mese fa Adam Alter, professore associato della Stern School of Business alla New York University. La notifica è la droga della vita iperconnessa. La sfida che ha posto Fadell alla community tecnologica, che poi ha suscitato dibattito, è quella di porsi la responsabilità di affrontare questa evidenza. Apple ha detto che ha in mente di introdurre nuovi tool per il controllo parentale nei suoi iPhone, potrebbero esserci novità già alla conferenza degli sviluppatori a giugno.

E ovviamente qualcosa già esiste: Motorola, tra i produttori di tecnologia, ha aperto un sito tempo fa con un quiz e una serie di indicazioni per monitorare la propria dipendenza: l’iniziativa si chiama Phonelifebalance. Esistono poi alcune app: le più interessanti sono (OFFTIME) Light (iOS, a pagamento, e Android) e Quality Time. Per stare sul basico c’è Checkyapp, che ci dice quante volte abbiamo utilizzato il telefono.

Quello che manca è che queste funzioni entrino nell’abc del sistema operativo. Sarà da vedere se verrà seguita la proposta di Farrel e dunque verrà cavalcata dalla Silicon Valley, magari come tentativo di riscatto culturale: non sono più gli anni dell’entusiasmo acritico nei confronti di ogni fiato digitale.

twitter.com/lucasalvioli

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