I riflettori si sono riaccesi dal primo gennaio, quando la California è diventato il sesto stato degli Usa a legalizzare la cannabis anche per uso ricreativo. Ma sarebbe bastato farsi un giro a Seattle o nel Colorado per rendersi conto che l'industrializzazione della weed, la marijuana, è un business già sdoganato tra investitori e ovviamente startup, montate in sella alla nuova corsa all'oro dell'economia americana. I settori coinvolti vanno dalla sanità, chiamata in causa per l'uso medico dei cannabinoidi, alle piattaforme di e-commerce, produzione diretta e analisi dei dati di mercato. Senza dimenticare una buona dose di aziende dell'ambito legale, specializzate in consulenza sui – tanti – cavilli che disciplinano la vendita ai consumatori finali.
Tanto che oggi, sotto l'etichetta generica di cannabis industry, operano startup della «medicina alternativa» come Pharmacannis (finanziata con 45 milioni di dollari solo nel 2016), negozi online come Eaze (51,5 milioni di dollari in cassa per la sua attività di vendita di prodotti a base di cannabis) e una miriade di altre aziende, incluse società di data analytics (come Confident cannabis) e svariate holding che detengono quote in centri produzione e laboratori R&D.
Investimenti venture capital in rialzo del 90%
CB Insights, una società di ricerca statunitense, ha registrato un rialzo del 90% degli investimenti in startup del settore tra 2014 e 2016, con 225 milioni nel 2015 e un leggero calo a 202 milioni nel 2016. Brightfield group, una società di ricerca americana, si è spinta a prevedere un giro d'affari da 31,4 miliardi di dollari entro il 2021. Il report non è esattamente neutrale perché il Brightfield si occupa dell'industria dei cannabinoidi e raccoglie dati solo da consulenti del settore. Ma anche pronostici più laici lasciano intendere un'espansione in quest'ordine di grandezza. Statista, un portale di ricerca, prevede un giro d'affari da oltre 24 miliardi di dollari entro il 2025, dove il solo uso ricreativo incide per oltre 11 miliardi.E si parla comunque di analisi risalenti a una o due anni, prima che la svolta in California ampliasse ancora di più il perimetro del commercio legale di marijuana.
Il via libera all'uso «ludico» della pianta in California ha sbloccato quello che si è già candidato a essere il più grande mercato al mondo, spingendo la valutazione di aziende germogliate sulla più liberal costa ovest. Anche a nord, a Seattle, dove la legalizzazione è arrivata nel 2012 e i drug store sono un'attrazione turistica al pari del primo Starbucks o dello Space Needle. Privateer holdings, un fondo private equity specializzato nel settore, ha chiuso solo a gennaio un round da 100 milioni di dollari che ne porta la valutazione complessiva sopra i 600 milioni. Capitali investiti subito in quattro startup che rappresentano altrettanti segmenti di business: Leafly (un social network per lo scambio di opinione, ricette e indirizzi di negozi), Tilray (un produttore diretto, impegnato anche nella sperimentazione di nuovi prodotti), Marley Natural and The Goodship (aziende che realizzano vari prodotti derivati dalla marjuana o utili per il consumo, dalle creme per il corpo ai portachiavi).
Il mercato cresce anche in Europa
Il termine di paragone sono sempre gli Stati Uniti, dopo il solo stato del Colorado ha incassato oltre 200 milioni di dollari nel 2016 dalla vendita legale di erba. Ma la scena delle startup “verdi” è florida anche in Europa, ben oltre al marketing turistico dei Paesi Bassi e dei coffe shop di Amsterdam. Ad esempio in Germania crescono realtà come Cannamedical Pharma, startup di Colonia fondata nel 2016, pochi mesi prima della legalizzazione per uso medico decisa dal Bundestag (il parlamento locale). L'azienda si occupa delle distribuzione nelle farmacie e ha ottenuto solo a gennaio un finanziamento «di almeno un milione» da una cordata di imprenditori capeggiata da Fabian Thylmann, un imprenditore tedesco noto a più come fondatore del sito per adulti PornHub.
In Italia si sono mossi i primi passi sulla vendita diretta, ovviamente con requisiti conformi alla legislazione. Green Monkeys è una startup romana specializzata nella distribuzione di prodotti a base di canapa «ad uso tecnico da collezione». Il trucco è di mantenersi sotto a un livello di Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo, il principio attivo della cannabis), allineandosi ai requisiti normativi. Un escamotage? Forse, ma del tutto legale. In fondo, come dicono a Seattle, «weed is just business», la cannabis è solo un business.
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