L'aspetto più clamoroso del datagate, lo scandalo dei dati ceduti da Facebook, è che non c'è nulla di clamoroso. Dietro al comportamento di Zuckerberg e di altri colossi tech, Google in testa, c'è un'industria che fa parte della nostra quotidianità anche a riflettori spenti. Di cosa si parla? Di quelli che vengono chiamati «il petrolio» della nuova economia: i dati, le informazioni sui cittadini e consumatori immagazzinate con (o senza) il consenso dei diretti interessati. Attivando un account Facebook abbiamo scoperchiato al colosso di Zuckerberg una lunga serie di dettagli sul nostro conto, disseminati anche con gesti inconsapevoli come un “like” sui post di amici o la ricerca di un negozio fuori Milano.
Ma basta solo dimenticarsi di disattivare la posizione sul proprio smartphone per consegnare a Google Maps, il sistema di mappatura di Google, un itinerario millimetrico dei nostri spostamenti. Come in un diario involontario, ad uso e consumo di aziende e inserzionisti interessati a colpire l'utente con messaggi calibrati su misura. La falla si chiude ogni volta che spegniamo lo smartphone o ci ricordiamo di effettuare il log-out? Non proprio, perché offriamo informazioni ogni volta che ci avviciniamo a qualcosa di connesso. Dal vecchio Pc di casa agli elettrodomestici agganciati al Web grazie alla famosa rivoluzione dell'Iot, l'internet of things che fa entrare la Rete in oggetti di uso quotidiano.
Il mercato dei dati: i numeri ufficiali. E quelli nascosti
Il mercato dei dati si divide, come buona parte dei settori economici, in un mercato legale e in uno illegale. Quello legale si aggira su numeri importanti, anche se persino le stime più eclatanti vengono considerate riduttive dagli addetti ai lavori. Idc, una società di consulenza statunitense, prevede un giro d'affari in ascesa da 130 miliardi nel 2016 a oltre 203 miliardi nel 2020, con un tasso di crescita annuo composto (la crescita percentuale media) dell'11,7%. Altre aziende di consulenza abbassano o alzano le stime, ma in entrambi i casi si resta nell'ottica di un business globale e in fortissima espansione. «Che esista un mercato dei dati legittimo è un dato di fatto. Facebook è gratis perché il suo prodotto siamo noi, visto che vendono informazioni a nostro riguardo agli investitori. In maniera legale», spiega Gabriele Faggioli, responsabile dell'Osservatorio Information security e privacy del Politecnico di Milanoe presidente del Clusit (associazione italiana per la sicurezza informatica). Persino il caso di Cambridge Analytica è in bilico, e si candida a fare giurisprudenza: non si è trattato di una classica data breach, violazione di dati, ma di una «cessione considerata illegittima - dice Faggioli - Vedremo cosa stabiliranno i giudici».
E allora, quando si sconfina nel reato? Ufficialmente, si entra nel mercato illegale di dati se le informazioni vengono elaborate e cedute senza un consenso esplicito. Ufficiosamente, la compravendita di informazioni sfugge ai paletti legislativi fissati finora. «La gente non continua forse a evadere le tasse o spacciare stupefacenti anche in presenza di leggi? - si chiede Faggioli - Vuol dire che la repressione non fa da deterrente, anche se un impianto sanziatorio importante aiuta». Magari un «impianto» come quello della Gdpr, il regolamento europeo sui dati che avrà efficacia dal prossimo 25 maggio. Il testo prevede una multa pari a picchi del 4% del turnover annuo di un'azienda, da pagare per ogni giorno di violazione. Esercitata su colossi come Facebook e Google, si tradurrebbe in sanzioni nell’ordine dei miliardi di dollari.
Perché tenersi fuori è (quasi) impossibile
Parte della colpa, però, va ai «prodotti» di social network e aziende del Web. Ovvero gli utenti, distratti su quelli che sono diventati obblighi più di igiene che di privacy: negare l’accesso alla propria posizione, non diffondere documenti e foto private, ricordarsi anche solo il fatidico log-out quando si naviga online. Sul piatto non vengono messi solo i nostri dati, ma l'elaborazione che ne viene svolta: «Un conto è comprare cibo per cani, un conto è sapere che ho un cane e bombardarmi di pubblicità in proposito», fa notare Faggioli. L’attenzione dovrebbe alzarsi perché, nell'era dell'internet of things, le finestre su di noi si aprono ovunque: dal frigorifero alla pentola «connessa» che ci indica i minuti di cottura e, nell'attesa, profila i nostri gusti alimentari. Gli accorgimenti di base salvano da parte delle intrusioni. L'importante è non illudersi di essere completamente al sicuro: «A meno che non si raggiunga la disconnessione completa, siamo sempre esposti - dice Faggioli - Per il resto, c'è poco da fare. Se “craccano” i dati della mia banca, non lo posso impedire io».
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