«Facebook è gratis e lo sarà sempre», recitava quello che per lungo tempo è stato il claim del social network per eccellenza. Non è difficile immaginare che gran parte del successo della creatura di Mark Zuckerberg sia attribuibile proprio a questo concetto e all’efficacia con cui è stato comunicato. Poi è arrivato lo scandalo Cambridge Analytica, le tech hanno perso la propria (supposta) innocenza ed ecco che le regole del gioco potrebbero cambiare: Facebook ha condotto ricerche di mercato per comprendere se una versione «pay» della piattaforma, a pagamento e senza pubblicità, porterebbe più iscritti.
Lo rivela Bloomberg che fa riferimento a contatti avvenuti nelle ultime settimane. Era successo altre volte in passato che «Zuck» e soci prendessero in esame l’ipotesi di affiancare alla versione «free» del social network una «premium», ma non se ne era mai fatto niente. Stavolta, proprio alla luce del datagate e alla crescente domanda di privacy da parte degli utenti, potrebbe essere diverso. Non è detto che il progetto vada in porto, ma a Menlo Park se ne parla eccome, per quanto i vertici dell’azienda si siano rifiutati di commentare le indiscrezioni raccolte dall’agenzia stampa.
I vantaggi del «sistema» pubblicità
Zuckerberg e il coo Sheryl Sandberg hanno trascorso gran parte della call con gli analisti sulla trimestrale 2018 a sottolineare i vantaggi di una rete supportata dalla pubblicità che secondo loro permette all’azienda di raggiungere il maggior numero di persone, senza distinzione di classe sociale. Ma non è l’unico modo per portare avanti il business. «Abbiamo certamente pensato a molte altre forme di monetizzazione, compresi gli abbonamenti, e continueremo sempre a considerare tutto», ha detto Sandberg in quella circostanza.
“Ci sarà sempre una versione gratuita di Facebook”
Mark Zuckerberg
Pagare per la privacy
Il mese scorso, durante la sua testimonianza al Congresso, Zuckerberg ha lasciato la porta aperta all’opzione premium. «Ci sarà sempre una versione gratuita di Facebook», ha dichiarato. La formula premium, insomma, non andrebbe a sostituire quella che ha deteriminato il successo su scala globale del social network, ma si affiancherebbe a essa, andando incontro alle perplessità avanzate da tanti utenti che si sono cancellati dalla piattaforma proprio per l’invadenza dei contenuti pubblicitari che mettono a rischio la privacy. L’azienda genera praticamente tutti i suoi 41 miliardi di dollari di fatturato attraverso la vendita di annunci pubblicitari calibrati sui dati degli utenti. Le indagini di mercato degli anni scorsi sul possibile varo di una formula premium giunsero alla conclusione che il pubblico non sarebbe stato ricettivo e che il social network avrebbe perso il proprio appeal.
Effetto Cambridge Analytica
La crisi di fiducia innescata dal datagate con Facebook, chiamata a difendersi dalle accuse di cessione di informazioni personali di milioni di utenti a Cambridge Analytica, società di consulenza politica che nel 2016 lavorava alla campagna presidenziale di Donald Trump, potrebbe cambiare adesso le regole del gioco. Perché gli utenti non sono più disposti ad accettare a scatola chiusa l’utilizzo improprio dei popri dati sensibili. E tra di essi potrebbe esserci chi è disposto a pagare per restare fuori dal «calderone» della schedatura a fini pubblicitari.
La dote del cambiamento
Se Facebook ha una dote, quest’ultima ha sicuramente a che fare con la capacità di cambiare. Anche quando si tratta di cambiamenti dettati dalle circostanze: soltanto qualche anno fa, la classificazione degli editori in base all’affidabilità delle notizie proposte e la possibilità di aggiornare i commenti srebbero state impensabili. Così come in pochi avrebbero scommesso su dirette video, la nascita di un marketplace e, presto, anche di un servizio di dating. Chissà che il prossimo passso non sia proprio Facebook Premium. Perché Facebook «è gratis e lo sarà sempre», a meno che non ci sia qualcuno disposto a pagare.
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