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Facebook, la privacy costa cara. Ecco perché sta crollando in Borsa

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stime e gdpr mettono in crisi un modello

Facebook, la privacy costa cara. Ecco perché sta crollando in Borsa

La corazza stavolta si è sgretolata. Non ha retto l'urto di uno scandalo – quello di Cambridge Analytica – che forse gli analisti hanno archiviato troppo in fretta. Dopo due anni di trimestrali a prova di proiettile, Facebook crolla sotto i colpi delle stime disattese. Gli utenti non crescono più come un tempo, i ricavi pubblicitari rallentano. E in borsa le reazioni sono state spietate, col titolo del colosso di Menlo Park che è precipitato al di sotto al -20%, bruciando qualcosa come 114 miliardi in poche ore. Un passivo così pesante non si era registrato neanche nei giorni bui del datagate legato a Cambridge Analytica, quando i miliardi bruciati furono 90.

Ma cosa sta succedendo a Facebook? E perché anche le previsioni, adesso, non sono più rosee come un tempo? Le cause sono molteplici, e sembrano aver presentato il conto tutto insieme.

Gli scandali
A far male al gioiello di Mark Zuckerberg ci sono innanzitutto gli scandali. Il capitolo fake news legato al “Russiagate” e la vicenda Cambridge Analytica sono due fendenti al petto per Facebook. E sono arrivati l'uno a distanza di pochi mesi dall'altro. In entrambi i casi, le risposte giunte da Menlo Park sono sembrate tardive e incomplete. In merito al Russiagate, i fatti risalgono al 2017, quando dopo una pioggia di pesanti accuse, Zuckerberg in persona si decise a collaborare, fornendo al governo americano il contenuto di oltre 3mila annunci politici diffusi su Facebook che sarebbero stati creati e finanziati da società russe per interferire sulle ultime elezioni americane. Dalle ammissioni del Ceo emerse che dal 2015 al 2017, almeno 500 account (collegati a una società russa) investirono 100mila dollari in pubblicità ingannevole, dedita ad influenzare le elezioni americane. Le circa tremila inserzioni pubblicitarie acquistate intercettarono il newsfeed (cioè finirono sulla home di Facebook) di almeno dieci milioni di utenti residenti negli Stati Uniti d'America.

Cambridge Analytica, invece, è una storia più recente. E ha reso la primavera 2018 la più buia della storia di Facebook. Il social network è finito nel mirino del mondo occidentale per un furto di dati senza precedenti che ha scoperchiato, per la prima volta, tutte le perplessità circa l'algoritmo che ha reso Zuckerberg un giovane miliardario. I dati di 87 milioni di utenti sono finiti nelle mani di una società privata che potrebbe averli usati per scopi elettorali. E proprio la condivisione dei dati degli utenti con società terze ha innescato reazioni politiche intercontinentali, con richieste di spiegazioni arrivate da Bruxelles come da Washington. E le risposte arrivate da Facebook non hanno convinto.

La privacy ha un prezzo
Soprattutto lo scandalo Cambridge Analytica ha aperto una ferita importante nel cuore pulsante di Facebook: quello della condivisione dei dati degli utenti. Gli ingegneri di Menlo Park – sotto i riflettori per quanto successo - sono stati costretti a rivedere significativamente le norme sulla privacy, rendendole più stringenti ed intuitive. È stata inoltre interrotta la condivisione dei dati con app di terze parti. E poi è arrivato il Gdpr, il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali che impone regole più severe alle quali Facebook ha dovuto adeguarsi in fretta. E non è un caso che il calo di utenti europei registrati in questa trimestrale sia stato giustificato da Zuckerberg proprio con l'introduzione del nuovo regolamento UE. Una motivazione sulla quale non sono stati forniti altri elementi e che ha lasciato abbastanza perplessi gli analisti. Di certo, però, le modifiche apportate al social dopo Cambridge Analytica e dopo l'introduzione del Gdpr hanno un prezzo da pagare. Una privacy più stringente, per una società che basa il suo business sui dati degli utenti, non può far bene ai conti in fatto di introiti pubblicitari.

Instagram la salvezza di Zuck
In questo cielo denso di nubi, però, c'è un raggio di sole accecante per Mark Zuckerberg. E si chiama Instagram. L'app delle foto filtrate è, oggi, la speranza più fervida della galassia facebookiana. Lo dicono i numeri, con utenti in crescita costante (soprattutto fra i più giovani) e annunci pubblicitari in forte ascesa (+177%, quattro volte quella di Facebook). L'impatto finanziario ufficiale di Instagram su Facebook Inc. non è reso noto, ma varrebbe 8,06 miliardi di dollari di entrate nel 2018, secondo la società di ricerca EMarketer. Oggi Instagram conta oltre 25 milioni di profili aziendali e più di due milioni di inserzionisti. Gli utenti hanno recentemente superato un miliardo (più o meno la metà di Facebook).

Instagram è stata acquistata da Zuckerberg nell'aprile del 2012 per un cifra vicina al miliardo di dollari, poi scivolata a 715 milioni a causa della svalutazione delle azioni comprese nel pacchetto. L'accordo, infatti, prevedeva 300 milioni cash e il resto in azioni di Facebook, che avrebbe esordito in borsa da lì a un mese. In quei giorni Instagram aveva festeggiato i 30 milioni di utenti attivi. Dava lavoro a 15 persone. E, dopo un inizio dedicato agli utenti possessori di iPhone, la proprietà aveva deciso che era arrivato il momento di aprirsi al mondo Android. Oggi i dipendenti sono più di 700, gli utenti sono un miliardo, attivi in tutto il mondo. Ma i tassi di crescita stimati sono i più performanti dell'intero settore, e gli utenti diventeranno due miliardi, secondo le proiezioni, entro i prossimi 5 anni. Per un Facebook che non sta benissimo, insomma, c'è un Instagram in piena salute. E forse Zuckerberg, sotto sotto, se la ride.

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