Il Premio Nobel 2019 per la chimica assegnato per lo sviluppo di batterie agli ioni di litio scopre un nervo scoperta dell’industria tecnologica. Sono passati trent'anni ma gli smartphone continuano a essere alimentati con le batterie agli ioni di litio. Parliamo di una tecnologia nata nel 1912 (la prima batteria è stata commercializzata nel 1991 da Sony) che con ragguardevoli passi in avanti e migliorie resta l'opzione commercialmente migliore per dare energia a dispositivi progettati per essere sempre più performanti ed energivori.
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Una conferma? Il Galaxy Fold, lo smartphone pieghevole chiamato a rilanciare il settore (e i conti di Samsung), per illuminare ben due/tre display ha scelto di montare non una ma due batterie. Senza specificare, per ora, di quanto sarà l'autonomia.
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Ad oggi se prendiamo i primi della classe, parliamo di dispositivi mobile da più di 1000 euro l'autonomia non supera le 24 ore (quando va bene). Molto si è fatto sui tempi di ricarica, sempre più veloci, sulla possibilità di alimentare la batteria senza fili, ma il sogno della batteria che dura un mese resta là, nel mondo delle idee. Tanto che l'industria dello smartphone e dell'elettronica di consumo sembra averci un po' rinunciato dopo avere investito per anni moltissimo tra università e ricerca privata.
Flop, prototipi e speranze. Eppure, i prototipi non sono mancati, come anche gli studi scientifici e le ipotesi fantasiose. Per esempio, intorno al 2015 si è cominciato a parlare di batteria all'idrogeno: autonomia di una settimana e basso impatto ambientale. Non l'abbiamo mai vista sul mercato perché lo stoccaggio dell'idrogeno (la cartuccia) costava troppo.
E' rimasto un paper scientifico anche la batteria litio-zolfo. Sulla carta questa soluzione prometteva una densità energetica molto maggiore delle batterie tradizionale e costi di produzione inferiori. Il problema insoluto è legato allo zolfo come materiale: pessimo conduttore ma poco affidabile dopo qualche ciclo di ricarica. In questo caso, però, i giochi non sono chiusi. Esistono in letteratura esperimenti confortanti con il molibdeno, un metallo che rende più stabile lo zolfo. I problemi non sembrano completamente risolti, e c'è chi ancora ci studia.
Quando c'è stato il boom del grafene si è avanzata l'ipotesi dei supercondensatori. Il brevetto è dell'Iit (Istituto italiano di tecnologia), il processo usa la grafite ma i tempi appaiono piuttosto lunghi. Più concreta è la batteria in alluminio in grado di ricaricare uno smartphone in 60 secondi. Su questo fronte potrebbero esserci novità a breve.
Più coraggiosi gli esperimenti con ultrasuoni, pannelli solari e suono ambientale. In quest'ultimo caso si è ragionato sull' effetto piezoelettrico che teoricamente promette una ricarica con la voce umana. Teoricamente. Da ricordare che sul fronte sicurezza (qualcuno si ricorderà le batterie che scoppiavano) gli scienziati stanno lavorando su alimentatori allo stato solido, tipo quello usato per gli hard disk. Su quello dell'efficienza invece l'aggiunta di sabbia agli ioni di litio è una strada che promette di potenziare la batteria. Anche qui siamo c'è poco di concreto. E c'è chi oramai prova a guardare altrove.
La ricerca si sposta su architettura e chip. Insistere sulle batterie è considerato per alcuni un vicolo chiuso. Meglio lavorare sui chip e quindi sui consumi del microprocessore. Recentemente ricercatori della Michigan University e della Cornel University hanno elaborato un composto multiferroico magnelettronico che consuma 100 volte in meno rispetto ai chip tradizionali. Anche in questo caso funziona per ora solo in laboratorio, quindi siamo lontanissimi da una idea di mercato. Ma per molti è quella la direzione, guardare ai materiali dei chip e all'architettura di funzionamento dei processori. I risparmi energetici si avranno rendendo le performance meno energivore. Solo così, gli smartphone potranno durare di più. Un pochino di più.
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