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Facebook, il monopolio social rischia lo smembramento

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attacco a zuckerberg

Facebook, il monopolio social rischia lo smembramento

(Reuters)
(Reuters)

Tra i cofondatori di Facebook, Chris Hughes, classe 1983, è il più atipico rispetto alla narrativa della Silicon Valley. Quando nell’estate del 2006 l’allora ceo di Yahoo!, Terry Siemel, offrì un miliardo di dollari per comprare l’azienda, lui sperava «disperatamente che Mark dicesse di sì» ha raccontato in un lungo editoriale pubblicato dal New York Times. Lo stesso anno si laureò, a differenza degli altri compagni di stanza e fondatori - Zuckerberg, Eduardo Saverin e Dustin Moskovitz - che lavoravano su quel sito nato in sordina nella stanza di Harvard.

E nel 2008 lasciò l’azienda si unì a Obama nella campagna presidenziale. Ha poi rilevato la rivista New Republic, ma è andata male e l’ha ceduta, e ieri sulle colonne del primo quotidiano americano ha sferrato uno degli attacchi più duri che si siano registrati nell’ultimo complicato biennio di Facebook in termini di immagine, dopo lo scandalo privacy, la diffusione di fake news e le conseguenze sulla formazione dell’opinione pubblica.

In sintesi Hughes propone che Facebook venga smembrata in tre diverse aziende, una per servizio. Facebook, Instagram, WhatsApp. Critica la decisione fatta allora dall’Ftc, la Federal Trade Commission, di approvare l’acquisizione di Instagram da parte di Facebook, per un miliardo nel 2012, e WhatsApp, per 22 miliardi nel 2014. In quel biennio Mark Zuckerberg, intuendo che Facebook stava invecchiando e i teenager volevano una comunicazione più veloce e privata, ha gettato le basi per il decennio successivo. Messe le mani su Instagram, e tramontata l’ipotesi di comprare l’astro nascente Snapchat perché il ceo Evan Spiegel non ne voleva sapere, un po’ come fatto da Zuckerberg con Terry Siemel, ha portato sulla piattaforma social fotografica appena rilevata le funzioni più innovative di Snapchat, ovvero le stories. Così Snapchat fuori dagli Stati Uniti non è mai decollato.

Per sostenere la sua tesi, Hughes scrive: «Siamo un Paese che ha la tradizione di governare i monopoli, a prescindere dalle buone intenzioni delle persone che guidano le aziende» dominanti, «il potere di Mark è senza precedenti, è anti-americano». In questo il cofondatore di Facebook si aggiunge a vari executive della Silicon Valley, regolatori e politici di Washington che evocano le ricette del passato per regolare il digitale. Hughes è per la soluzione più estrema, ovvero il break-up, sull’onda della proposta della senatrice democratica Elizabeth Warren, appoggiata da Alexandria Ocasio-Cortez, che ha nel suo mirino anche Apple, Google e Amazon . E cita come esempio lo Sherman Antitrust Act del 1890, che portò allo smembramento di Standard Oil in 34 società distinte. Oppure AT&T, che fu divisa dall’antitrust in tre aziende: Lucent, Ncr e At&t. Ro Khanna, deputato dem della California, ieri in una nota si è detto d’accordo con i punti di Hughes, ma non arriva a chiedere il break up: «È importante che l'America non ceda il suo vantaggio nell’innovazione alle cinesi Alibaba, Tencent, o Baidu». Se non c’è dubbio che il tema sia ormai considerato centrale, anche nelle file repubblicane, sulle soluzioni ci sono visioni diverse: l’esempio di AT&T citato da Hughes, ad esempio, da molti è visto come una delle cause della perdita di terreno delle tlc americane sul 5G che ha favorito la corsa di Huawei.

Hughes dettaglia molto la proposta, evidentemente non solitaria: la Federal Trade Commission e il dipartimento di giustizia dovrebbero rinforzare le leggi antitrust e fare in modo che le acquisizioni di Instagram e WhatsApp non siano più effettive, con tre titoli quotati separatamente. Allo stesso tempo fare un bando rispetto a successive acquisizioni.

La strategia di Zuckerberg è molto diversa. Certamente dopo il caso Cambridge Analytica non può più dire, come faceva una decina di anni fa, che la privacy è un tema obsoleto. Anzi, nel recente F8, l’evento dedicato agli sviluppatori, il messaggio era l’opposto: abbiamo capito i nostri errori e il futuro della nostra piattaforma sarà privato. Inoltre ha invocato nuove regole su privacy e diffusione informazioni false.

Facebook ha risposto a Hughes con una nota di Nick Clegg, l’ex vicepremier inglese che ora è il capo degli affari globali e delle comunicazioni dell’azienda: «Facebook accetta che con il successo arriva la responsabilità. Ma non si impone la responsabilità chiedendo la disgregazione di un’azienda americana di successo. La responsabilità delle aziende tecnologiche può essere raggiunta solo attraverso l’introduzione scrupolosa di nuove regole per Internet. Questo è esattamente ciò che Mark Zuckerberg ha chiesto. Per questo sta incontrando alcuni leader del governo americano».

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