Un tempo lo chiamavano il Mark Zuckerberg russo. Ma questo paragone a Pavel Durov non è mai piaciuto troppo. Il 33enne di San Pietroburgo, fondatore di VKontakte, prima che di Telegram, non è propriamente un fan del Ceo di Facebook. E lo fa trasparire ad ogni occasione. L'ultima un paio di giorni fa, in occasione dello scandalo spyware che ha coinvolto WhatsApp. Il malware denominato Pegasus, che con una chiamata vocale era in grado di prendere il controllo delle chat, ha dato uno schiaffo in faccia all'ecosistema Facebook e al nuovo approccio di Zuckerberg interamente rivolto alla tutela della privacy degli utenti. Dopo il fattaccio, Durov ha scritto un lungo post per dire ciò che ne pensa. E già il titolo suona come un programma: «Perché WhatsApp non sarà mai sicura».
Il fondatore di Telegram ci è andato giù pesante, dicendosi per niente sorpreso dalla notizia dello spyware: «L'anno scorso
WhatsApp ha dovuto ammettere che avevano un problema molto simile: una singola videochiamata bastava a un hacker per ottenere
l'accesso ai dati dell'intero telefono. Ogni volta che WhatsApp deve correggere una vulnerabilità critica nella loro app,
ce n'è un'altra che prende il suo posto. Tutti i loro problemi di sicurezza sono adatti a chi si occupa di sorveglianza, e
assomigliano molto a delle backdoor».
Perché WhatsApp è diversa da Telegram
Per Durov, uno dei motivi della scarsa sicurezza di WhatsApp è dovuto al fatto che non sia basata sull'open source: «Non c'è
modo per un ricercatore di sicurezza di controllare facilmente se ci sono backdoor nel suo codice. Non solo non pubblica il
suo codice, ma fa esattamente l'opposto: oscura deliberatamente i binari delle loro app per assicurarsi che nessuno sia in
grado di studiarli a fondo».
Secondo il fondatore di Telegram, WhatsApp e la sua società madre Facebook «potrebbero persino essere obbligati a implementare
backdoor, magari su ordine dell'Fbi». Per Durov «non è facile mantenere un'applicazione di comunicazione protetta dagli Stati
Uniti. Nel 2016 il nostro team ha lavorato in USA per una settimana, e abbiamo subito 3 tentativi di infiltrazione da parte
dell'Fbi. Figuriamoci cosa sia potuto succedere a un'azienda americana in 10 anni».
I dittatori amano WhatsApp
Il post di Durov prende le sembianze di una denuncia vera e propria quando affronta il tema della geopolitica e della richiesta
di backdoor da parte di alcuni governi. Il fondatore di Telegram ha sottolineato che le backdoor possono essere usate «anche
da criminali e governi autoritari», aggiungendo una frecciata velenosissima: «non c'è da meravigliarsi se i dittatori sembrano
amare WhatsApp. La sua mancanza di sicurezza consente loro di spiare la propria gente, così WhatsApp continua a essere liberamente
disponibile in luoghi come la Russia o l'Iran, dove Telegram è bandito dalle autorità». Accuse pesantissime, anche alla luce
delle recenti parole di Zuckerberg che ha invece parlato di “resistenza” nei confronti di molti governi che stanno facendo
pressione per avere accesso alle chat.
Il trucco del cloud
Tra le accuse nei confronti di WhatsApp, Durov ne scaglia una che riguarda il cloud: «Tre anni fa – spiega il fondatore di
Telegram - WhatsApp ha annunciato di aver implementato la crittografia end-to-end in modo che “nessun terzo possa accedere
ai messaggi”. L'azione è coincisa con una spinta aggressiva a tutti i suoi utenti di eseguire il backup delle chat nel cloud.
WhatsApp, però, non ha comunicato ai propri utenti che, una volta eseguito il backup, i messaggi non sono più protetti dalla
crittografia end-to-end e sono accessibili agli hacker e alle forze dell'ordine».
Ostaggi di Facebook Inc.
Per chiudere, Pavel Durov parla di utenti ostaggio della galassia Facebook: «Affinché WhatsApp diventi un servizio orientato
alla privacy – scrive il fondatore di Telegram - deve rischiare di perdere interi mercati e scontrarsi con le autorità del
proprio paese d'origine. Ma non sembrano essere pronti a questo». Per Durov «un sacco di persone non possono smettere di usare
WhatsApp, perché i loro amici e familiari sono ancora lì. Significa che noi di Telegram abbiamo fatto un cattivo lavoro nel
persuadere le persone a cambiare app». Il 33enne russo, che nel 2012 lanciava aerei di carta fatti con banconote da 5mila
rubli dalla finestra del suo ufficio, è convinto che la maggior parte degli utenti di Internet sia «ancora in ostaggio dall'impero
Facebook / WhatsApp / Instagram». Per Durov «molti di coloro che usano Telegram sono anche su WhatsApp, il che significa che
i loro telefoni sono ancora vulnerabili». Poi l'ammissione: «Non sarà facile. Il reparto marketing di Facebook è enorme. Noi
di Telegram, invece, facciamo zero marketing. Per questo, ci affidiamo a te, ai milioni di nostri utenti. Se ti piace abbastanza
Telegram, lo dirai ai tuoi amici. E se ogni utente di Telegram persuade 3 dei propri amici a cancellare WhatsApp e a spostarsi
permanentemente su Telegram, Telegram sarà già più popolare di WhatsApp. L'epoca dell'avidità e dell'ipocrisia finirà. Inizierà
un'era di libertà e privacy. Questa è molto più vicina di quanto sembri».
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