La drastica decisione, con la quale di fatto Huawei non potrà comprare tecnologia di aziende americane per ragioni di sicurezza nazionale senza autorizzazione governativa, anche se per l’operatività occorrerà attendere almeno 120 giorni, è l’ultimo passo di una escalation portata avanti dall’amministrazione Trump contro il colosso tecnologico cinese.
GUARDA IL VIDEO / Trump mette al bando Huawei, nuovo scontro con la Cina
Dal punto di vista industriale il primo passo era stato il bando a Huawei nella realizzazione del 5G sul suolo americano. Poi era partito il pressing sulle ambasciate di mezzo mondo affinché altri Paesi facessero la stessa scelta. Come si sono mossi gli altri Paesi?
L’Italia
Giappone, Nuova Zelanda, Australia e Taiwan hanno scelto il bando nei confronti di Huawei. Mentre in Europa non è andata esattamente
come sperava Trump, per quanto non tutti i Paesi abbiamo preso la decisione definitiva. In molti casi, come in Italia, Huawei
è un operatore di primo piano già su tecnologie precedenti al 5G, tanto che ha fatto discutere il report di Bloomberg secondo cui Vodafone trovò vulnerabilità negli apparati Huawei in Italia già nel 2011-2. Il rapporto con gli operatori è
consolidato, anche nei test per il 5G, e gli stessi sono convinti che rinunciare all’azienda cinese comporterebbe ritardi
ed esborsi.
Il caos inglese
La decisione ufficiale non è stata comunicata e il tema è assai delicato come si è capito quando Teresa May ha silurato il
ministro della difesa Williamson accusandolo di essere responsabile della fuga di notizie dopo un incontro del governo con
l’agenzia nazionale di intelligence. Secondo le indiscrezioni costate il posto al ministro il Paese avrebbe deciso di dare
un via libera condizionato a Huawei, con alcune garanzie tecniche e l’accesso soltanto ad alcune parti del network. Il tema
è delicato vista la decennale collaborazione delle intelligence americane, inglesi ed austrialiane, che rischierebbero di
venire meno.
La Francia
Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha detto che «non è appropriato lanciare una guerra tecnologica o una guerra commerciale
contro qualsiasi paese». «Primo, non è il modo migliore per difendere la tua sicurezza nazionale. In secondo luogo, non è
il modo migliore per sviluppare il proprio ecosistema e avere un mondo di cooperazione e minori tensioni. La nostra prospettiva
non è bloccare Huawei o altre società, ma preservare la nostra sicurezza nazionale e la sovranità europea», ha aggiunto Macron.
La Germania e le preoccupazioni dell’industria europea
La cancelliera tedesca Angela Merkel ed il premier olandese non intendono seguire il divieto degli Usa. Merkel in particolare
ha spiegato di aver stabilito criteri di sicurezza molto solidi per la scelta delle aziende su cui cooperare per il 5G. «Per
noi i criteri sono il punto di partenza cruciale, dopodiché decidiamo con chi stare», ha sottolineato. Posizione condivisa
da Rutte. La Germania a marzo ha stabilito regole per i venditori che forniscono apparecchiature di rete di telecomunicazione,
ma non ha individuato in Huawei un soggetto da trattare in maniera diversa dagli altri per ragioni di sicurezza nazionale.
La BDI, Confindustria tedesca, ha esortato il governo tedesco e la Commissione Europea ad attenersi alla procedura d'asta
prevista e a concordare rapidamente standard di sicurezza comuni: «L'industria tedesca ha rapidamente bisogno di certezza
giuridica e di pianificazione nell'espansione del 5G». Come scrive Bloomberg, ha inoltre chiesto un coordinamento a livello
europeo sulle specifiche di sicurezza, che sarebbe indipendente dai produttori di apparecchiature.
Il ceo Ericsson: «L'Europa sul 5G deve agire velocemente o perderà questa occasione»
Ericsson, principale protagonista industriale del 5G insieme a Huawei e Nokia, ha più volte messo in guardia dal rischio che
l’enfasi sulla sicurezza porti a un rallentamento industriale nella roadmap verso il debutto commerciale del 5G in Europa.
Nel corso della Viva Technology Conference a Parigi, il ceo di Ericsson, Börje Ekholm, ha detto che «È ora di accelerare
il 5G in Europa. Non possiamo permetterci di far evolvere i nostri imprenditori e le nostre imprese europee su un'infrastruttura
vecchia e obsoleta. Il 5G deve essere visto come una infrastruttura nazionale critica, vitale tanto quanto treni, porti o
aeroporti». «Gli Stati Uniti e la Cina considerano il 5G una infrastruttura nazionale critica e la spina dorsale della digitalizzazione
della società».
L'Europa ha avuto lo stesso approccio quando è stato lanciato il 4G non riuscendo a imporsi sulla tecnologia, con il risultato
che l'Europa ha perso tre o quattro anni. Non è stato un caso, ha proseguito Ekholm, che i grandi «campioni» del 4G – Alibaba,
Netflix e Tencent – siano emersi dagli Stati Uniti e dalla Cina e non dall'Europa. «Spetta ai paesi decidere se vogliono essere
parte della rivoluzione 5G», ha aggiunto.
Secondo Ekholm, lo spettro 5G deve essere reso disponibile in modo coordinato e a prezzi ragionevoli per catalizzare il lancio dell'infrastruttura digitale. Ekholm ha chiesto un intervento sulla durata delle licenze per lo spettro, affermando che l'attuale approccio in Europa ha come conseguenza l'incertezza degli investimenti da parte degli operatori. Per quanto riguarda la sicurezza, secondo Ekholm la sicurezza 5G non dipenderà solo dalle apparecchiature nelle reti, considerata la complessità dell'architettura e delle reti future. Dipenderà anche dalle soluzioni di sicurezza implementate e dai parametri operativi della rete decisi dagli operatori.
© Riproduzione riservata