Borghi storici disabitati che diventano strutture accoglienti. Le strade al posto dei corridoi, le camere per gli ospiti dentro le case. In due parole: alberghi diffusi. Un modello di turismo responsabile made in Italy che coinvolge più di 60 strutture in tutta la penisola. La maggior parte delle quali si riunisce nell'omonima associazione che ha appena compiuto cinque anni.
LA STORIA
"Quando siamo andati dal notaio eravamo solo in due. Già dopo il primo anno siamo diventati 15", spiega Giancarlo Dall'Ara, presidente dell'Associazione. Ma la storia degli alberghi diffusi ha un'origine ancora più lontana nel tempo. Inizia in Carnia, dopo il terremoto del 1976, per la necessità di utilizzare a fini turistici gli edifici abbandonati. Il modello comincia a diffondersi negli anni 80 ma negli ultimi anni si è trasformato in una tendenza. Merito dei visitatori, per metà stranieri, affascinati dall'idea di vivere la vita autentica dei piccoli centri. Con tutti i comfort ma senza il solito trattamento turistico.
L'ULTIMA ARRIVATA: LA LOMBARDIA
I criteri per avere la patente di "albergo diffuso" sono molto rigidi. Azitutto la struttura non si costruisce ma si ricava da abitazioni già esistenti. E le distanze sono importanti: le case e la reception centrale non devono essere lontane più di 500 metri.
Basta guardare i numeri per comprendere perché la formula trova terreno fertile in Italia. Nel nostro Paese i comuni con meno di 5.000 abitanti sono circa 5.830 (il 72% del total), rappresentano solamente il 18% della popolazione e, per quanto riguarda il turismo, il 30% circa dell'offerta ricettiva.
L'ultima regione a entrare a far parte della Rete è stata la Lombardia. Lo scorso febbraio il consiglio regionale ha approvato all'unanimità il Testo unico sul Turismo in cui si introduce la modalità dell'abergo diffuso. Tra bandi pubblici e iniziative di privati sono 300 in tutta Italia i progetti che aspirano alla patente di "AD". In realtà solo pochi arriveranno al traguardo. Molti rinunceranno e si trasformeranno in corsa in altri tipi di strutture.
SANTO STEFANO DI SESSANIO: COME RESISTERE AL TERREMOTO
Santo Stefano di Sessanio è un piccolo centro a 35 chilometri dall'Aquila, a 1250 metri di altitudine. Un'oasi di oltre 3.500 metri quadrati. Con 5 milioni di euro l'imprenditore italo-svedese Daniele Kihlgren acquisì anni fa alcuni edifici nel borgo abitato da poco più di 70 persone. Dopo aver creato la società Sextantio (dal nome latino del borgo) decise di fare di Santo Stefano un albergo diffuso. E via alla ricostruzione: case di cui erano rimaste le mura e poco più, rimesse in piedi con materiali d'epoca e con le tecniche tradizionali. Quando il terremoto del 2009 devasta l'Abruzzo il borgo è uno dei pochi centri a non subire danni, fatta eccezione per la vecchia Torre Medicea, restaurata negli anni 60 con un tappo di cemento. L'albergo ospita oggi eventi culturali di vario tipo, dai concerti alle mostre.
A PRANZO A CASA DEI RESIDENTI
La caratteristica principale degli alberghi diffusi è quella di far provare l'esperienza di vita tipica del posto. Anche a tavola. Uno dei migliori ristoranti è quello dell'Antica Locada la Diligenza, nelle Marche.
Quando l'albergo diffuso non ha il ristorante esistono posti convenzionati nelle vicinanze. E in alcuni casi c'è il coinvolgimento nella vita quotidiana dei residenti. A Sant'Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento, c'è la possibilità di assaggiare formaggi freschi e altre specialità nelle case dei vicini. Nel borgo Omu Axiu, a Orroli (Cagliari) i laboratori per imparare a cucinare attirano turisti da tutto il mondo.
PESARO, CUORE PULSANTE
E' facile pensare agli alberghi diffusi come a luoghi isolati, dimenticati dalla storia. Due Campanili Realis, a Montemaggiore al Metauro in provincia di (Pesaro-Urbino) dimostra il contrario. La località fu scelta da Winston Churchill come base per osservare dall'alto gli spostamenti dell'avanzata alleata durante l'ultimo conflitto mondiale. E ancora: la zona fu teatro, nel 202 a.C., di una battaglia in cui le legioni romane sconfissero l'esercito cartaginese.
Ogni albergo diffuso ha la sua storia. Significativa è anche quella di Villa Retrosi, piccolo borgo a ridosso dei monti della Laga, a pochi chilometri da Matrice, nell'alto Lazio. Negli anni 50 gli abitanti della frazione erano quasi 500. Oggi sono una quindicina, tornati per lavorare alla struttura turistica.
C'è poi Il Vecchio Convento, a Portico di Romagna. Un angolo medievale sull'appennino tosco-romagnolo con dieci camere diventate meta prediletta dei turisti nord europei.
La concentrazione più alta di alberghi diffusi si ha nelle Marche, dove sono in tutto 7. Seguono Puglia e il Molise che conta 5 strutture.
Per saperne di più e per organizzare il vostro viaggio consultate la pagina degli indirizzi.
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