Il risotto è uno dei capisaldi della tradizione della cucina italiana riconosciuti ovunque nel mondo. Eppure, nonostante la fama di questo piatto, mancava fino ad oggi una storia a lui dedicata che ne esplorasse le origini, l'evoluzione nel corso degli anni fino ai nostri giorni, e che – perché no? – raccogliesse anche un'antologia della vasta aneddotica fiorita nel corso del tempo intorno alla sublime vivanda, intrecciando spunti provenienti dai campi più svariati, dalla letteratura alla musica, dall'arte alla politica.
Infatti, come scrive Giovanni Ballarini, presidente dell'Accademia Italiana della Cucina, nella sua presentazione al volume: "numerose ed alcune anche pregevoli sono le storie anche italiane sul riso e la sua coltivazione, numerosissime, forse troppe, sono poi le raccolte di ricette sul risotto, ma mancava un inquadramento storico critico e sociologico di questa preparazione tipicamente italiana. Una lacuna che oggi è stata benissimo colmata da questa preziosa pubblicazione di Alberto Salarelli, "Risotto. Storia di un piatto italiano" (Mantova, Sometti, 2010, pp. 199, euro 14,00) che attraverso il risotto documenta anche, ed in modo inequivocabile, i valori culturali della nostra cucina, intesa come arte, ma soprattutto come espressione e specchio di una società e come mito identitario".
Ciò che infatti più colpisce dalla lettura del volume di Salarelli - un saggio, giova ribadirlo, puntigliosamente documentato – è come alla fine di un viaggio di duecento pagine tra pentole, fornelli, tradizioni e personaggi che hanno fatto del risotto un piatto simbolo del Bel Paese, ci si accorga di aver ripercorso anche un tratto non piccolo della storia d'Italia, come se davvero il risotto e le sue trasformazioni accompagnassero l'evolversi degli usi e dei costumi degli italiani.
In questo senso siamo di fronte a un vero saggio di storia sociale che, attraverso uno spunto gastronomico, ci parla di un'Italia che si è venuta formando vista attraverso i risotti ottocenteschi dei Savoia e di Giuseppe Verdi, le minestre di riso autarchiche dei tempi di guerra, i risotti estrosi dei futuristi, e poi ancora quelli alla marinara (piatto simbolo del turismo balneare del boom degli anni Cinquanta) fino a giungere ai risotti edonistici al kiwi o alla rucola degli anni Ottanta per poi tornare, ai giorni nostri, a riscoperte di sapori e preparazioni più tradizionalmente legate ai prodotti del territorio.
Dispiacerà forse ai milanesi sentir parlare, in riferimento al risotto, di identità italiana e non specificamente meneghina. Eppure dovranno farsene una ragione: dal volume di Salarelli emerge un ruolo indubbiamente centrale di Milano in riferimento al lancio del piatto e dunque al suo successo internazionale, tuttavia le testimonianze citate nel saggio dimostrano come il risotto – soprattutto all'estero – sia stato percepito in passato, e lo sia tutt'oggi, come una vivanda specificamente collegata alla cultura italiana: non è certo un caso che il cuoco italiano dei Simpson, la celebre serie di cartoni animati statunitensi trasmessi dalle televisioni di tutto il mondo, si chiami proprio Luigi Risotto.
Ma, anche rimanendo all'interno dei confini del nostro Paese, forse qualcuno ricorderà come Massimo D'Alema nel 1997, allora presidente della commissione bicamerale per le riforme, si presentasse dinanzi al pubblico televisivo di Porta a porta per preparare un risotto "patrio" – direbbe forse Gadda - ai funghi e pomodorini, ecumenica sintesi tra un piatto di origine settentrionale (il risotto ai funghi) e un ingrediente squisitamente meridionale (il pomodorino) uniti in un improvvisato inno di sapori nazionali.
E dunque se è indubbio come il moltiplicarsi di stili di vita sempre più flessibili e personalizzati, sempre meno inquadrabili in schemi preconfezionati, abbia portato ad una diversificazione sempre più accentuata dei diversi stili di alimentazione, "il risotto – scrive Salarelli - riproposto, rivisitato, rielaborato in svariate combinazioni fra l'esotico e il surreale scaturite dall'estro di chef noti e meno noti, è riuscito a non disperdere del tutto il patrimonio culturale di quell'umile cuoco-autore, anonimo e collettivo, che lo ha ideato a cavallo tra Settecento e Ottocento. La matrice del piatto, insomma, è e rimane unica e riconoscibile".
Weekend a Vercelli, alla scoperta dei segreti del riso
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