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Sardegna: in Ogliastra tra mare e trekking

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Sardegna: in Ogliastra tra mare e trekking

Cala Goloritzé (foto Mauro Ladu / Alamy/Milestone Media)
Cala Goloritzé (foto Mauro Ladu / Alamy/Milestone Media)

È tutto un inno al calcare, il Golfo di Orosei, una granosa pietra sedimentaria, la stessa dei retrostanti Supramontes che, nella sua durezza e nudità, esprime tutto lo spirito selvaggio di questo angolo di Sardegna. Il miglior modo per scoprire questi luoghi è a piedi, tra i saliscendi rocciosi maculati dalla macchia mediterranea un tempo percorsi dai carbonai. La camminata, lunga ben 40 chilometri, tutta tra il Nuorese e la provincia dell'Ogliastra prende il nome di Selvaggio Blu. Perennemente con vista mare, parte da Santa Maria Navarrese e arriva a Cala Gonone tra archi di roccia, grotte carsiche, lecci, ginepri e giogaie rocciose che giocano con le vertigini. Un paesaggio che si vive al meglio da febbraio a giugno, quando le giornate sono più terse che nei mesi della grande calura, con cieli ostinatamente azzurri e nitide visioni mozzafiato.

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Santa Maria Navarrese è un piccolo borgo sorto intorno all'omonima chiesa dell'XI secolo, circondato da ulivi millenari. La prima tappa del percorso, Pedra Longa, è a due passi: qui la montagna si abbatte sul Tirreno tra falesie e faraglioni giganti. E da qui, salendo di quota, Sa Bia Maòre, il sentiero principale, offre una vista dei tetti di Baunei e del Golfo di Arbatax, per addentrarsi poi tra i grandi rilievi di calcare dei Supramontes. Sull'altopiano del Golgo, l'itinerario sfiora prima il nuraghe di Coa 'e Serra, su un piccolo poggio, quindi As Piscinas: un gruppo di vasche naturali tra rossi affioramenti basaltici, già note all'uomo prenuragico. Passando nei pressi dell'ingresso della voragine di Su Sterru, un pozzo naturale di oltre 270 metri, si giunge alla secentesca Chiesa di San Pietro preceduta da un ulivo millenario e da un betilo, una pietra magica dell'era dei nuraghi, con il bassorilievo, unico caso di tutta la Sardegna, di un viso umano. È qui che entra nel vivo il Selvaggio Blu, un'esperienza di trekking-alpinismo lanciata dal Cai sardo a fine Anni 80 e da molti definito "Il trekking più difficile d'Italia".

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Il tour, di solito effettuato in 4 giorni, prevede una prima tappa di due ore e mezzo, da San Pietro a Cala Goloritzé, tra lecci e ginepri gibbosi. Si passa presso due vecchi ovili rupestri, si entra tra le ombre del Bacu (gola) Goloritzé e si arriva quindi all'Aguglia, un ardito dito calcareo alto cento metri dove già da febbraio i primi climbers sfidano la gravità sopra le acque turchesi della cala. Si riposa una notte e si parte verso Bacu Mudaloru, sei ore di scarpinata, seguendo i segnovia, attraverso una valle e una pietraia in salita. A destra di un bivio si passa per gli ovili di Lattone, quindi per la bella cresta di Serra Lattone. Pausa sul mare, a Cala Mariolu, e si può riprendere il percorso per il Bacu Mudaloru in un caos di rocce calcaree. Il terzo giorno, nelle guide del Cai, è previsto il cammino fino a Cuile Mancosu, in realtà una ripida salita, con il premio di un passaggio all'ombra, nel bosco, e di una sbirciatina all'interno di una grotta dove le acque di stillicidio si raccolgono in una vasca naturale. Il sentiero costeggia poi la costa del Bue Marino, passando per il grande arco roccioso sopra Bacu su Feilau, poi per la cengia calcarea della Scala S'Oggiastru e gli ovili di Piddi e di Sa Saluda. L'ultimo giorno è un viaggio di scoperta tra surreali anfiteatri calcarei aperti al mare, interrotti dai boschi di Biriola e Orronnoro e da passaggi verticali riservati agli scalatori. Solo dopo l'ovile Plummare il sentiero inizia a scendere comodo a Cala Sisine, dove si ritrovano la propria auto e il mondo abitato.

6 aprile 2012

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