Si chiama vento di maestrale, non sempre è gentile con bagnanti e naviganti, ma è anche probabilmente uno dei motivi per cui la Sardegna sudoccidentale, dove soffia più spesso che altrove, è rimasta finora fuori dal circuiti delle smeraldine notti glam. In compenso, lo scorso anno questa zona ha intascato il riconoscimento del Consiglio d'Europa per lo sviluppo sostenibile del paesaggio. Anche il disegno della sua costa può dirsi umorale nell'alternarsi di alte falesie e insenature rocciose a lunghe lingue di sabbia dorata, con rimandi sahariani di dune dall'impalpabile consistenza. E proprio per questo piace a chi va per mare: un po' per riverente sfida al vento del Nord, un po' per ritornare ad andare in barca con lo spirito avventuroso del marinaio. Inoltre, è su questa rotta perfetta che il capitano gourmand incontra la migliore bottarga di Sardegna. A Cabras e Carloforte. In definitiva, le circa 45 miglia di navigazione dal Golfo di Oristano all'Isola di San Pietro hanno il sapore di un'esperienza completa.
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NOTTI FENICIE
Il Marina di Torregrande, al centro della costa ovest, con i suoi 404 ormeggi e un buon pescaggio per le barche a vela, è un punto di partenza per risalire l'isola verso il Canale di Bonifacio o per mettere la prua a sud lungo il territorio dell'Iglesiente. Non prima, però, di aver visitato Tharros, l'area archeologica sulla punta della penisola dell'Area Marina Protetta del Sinis che chiude a nord il Golfo di Oristano. La città fenicia di Tharros, sorta e fiorita a metà strada delle antiche rotte verso Cartagine, è un paesaggio di rovine, scale e colonne che guarda il mare, con alcuni scorci dell'insediamento che spuntano arrivando in barca sotto il pelo dell'acqua. Vale la pena passare una notte in rada, ormeggiati nella zona autorizzata dei campi boa sotto ruderi illuminati dalla luna. Il ridosso è buono anche con venti da Nord. Prima di salpare, d'obbligo mettere in cambusa la rinomata bottarga di muggine, ovvero le uova del cefalo salate, pressate ed essiccate al sole di Cabras. Magari dopo averla provata, nella sua formula a chilometro zero, al ristorante Sa Pischera 'e Mar 'e Pontis (vai al sito), gestito direttamente dalla cooperativa di pescatori della laguna. La scelta gastronomica, qui, in realtà è inaspettatamente ampia e d'alto livello. Da assaggiare, qui, un piatto introvabile altrove: la merca, cefalo lessato avvolto nelle foglie di zibba, erba palustre dello Stagno di Cabras dal sapore marcato. A proporlo sono Sa Zibba, un classico nel centro storico di Cabras, oppure il ristorante Il Caminetto, sempre in centro. In quanto ricetta rara, meglio prenotarla prima. A sud di Cabras, la lunga spiaggia di Torre Grande, fresca di Bandiera Blu 2012, è stata il campo di regata dell'Open Water Challenge (vai al sito) di surf e di kitesurf, che, sdoganato da semplice
beach sport, è diventato specialità olimpica. Da Capo Frasca a Capo Pecora la macchia mediterranea che copre i 47 chilometri di costa è un ecosistema ancora intatto. Tanto che, nello Stagno di Marceddì, separato dal mare da un ponte stradale, ha trovato il suo habitat ideale una grande colonia di fenicotteri rosa. Di qui a Portoscuso, poco più di 30 miglia, non vi sono ridossi utilizzabili con venti da occidente. Con il bel tempo, però, l'ansa di Punta de S'Aschiavoni e, un miglio più a sud, la grande spiaggia di Is Arenas, a Pistis, meritano di dar fondo all'ancora. Presso Pistis, racchiusa in una insenatura di basalti e arenarie scolpite dal vento sulla costa piatta e sabbiosa, con le dune sullo sfondo punteggiate dalla vegetazione bassa e dal lentisco, si nasconde la Casa del Poeta, strana abitazione sotto le foglie di un secolare ginepro che sembra uscita dalla fiaba di Alice. I fondali, avvicinandosi alle sue lingue di sabbia, diventano immediatamente bassi: meglio affidarsi al tender per lo sbarco. In navigazione sfilano a sinistra Porto Palma, una rada molto aperta dove la vecchia Tonnara di Flumentorgiu, eretta nel Seicento, abbandonata tra le due guerre mondiali e, ultimamente, in parte restaurata nello stile originale. Due chilometri più a sud, a Funtanazza, i resti di un passato minerario si fondono con fossili di molluschi del Miocene come un museo a cielo aperto. Dalla vicina Marina di Arbus la risalita a piedi al centro dell'omonimo villaggio vale invece per conoscere l'antica tradizione locale dei coltelli a serramanico. Nella Coltelleria l'Arburesa, Franco e Paolo Pisceddu sono riusciti a farli diventare oggetti da collezione. In una struttura agricola del Settecento, nel cuore del paese, c'è il piccolo Museo del Coltello Sardo, che vanta un suo record: la lama più grande al mondo, del peso di 295 chilogrammi. La raccomandazione d'obbligo prima di ritornare in barca è la visita al Caseificio Funtanazza; i suoi 150 anni di storia di formaggio con il latte delle rare pecore nere – ora in declinazione biologica – ne spiegano il perché.
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FRONTE DEL PORTIXEDDU
Le alte dune di sabbia di Is Piscinas, presso Ingurtosu, sembrano una visione che spunta dal mare. Più che un paesaggio mediterraneo, ricordano l'Australia o le dune di Pila ad Archachon, nella Gironda francese. Sulla spiaggia, l'unica costruzione è il resort Le Dune (vai al sito), ricavato dai vecchi uffici di una miniera. Un bell'ancoraggio è davanti alla grande spiaggia di Portixeddu, un approdo di questa rotta delle miniere abbastanza ridossato. Non quando spira il ponente, però, capace di richiamare invece centinaia di surfisti in cerca dell'onda perfetta. In questi casi, meglio il tender, per evitare secche e bassi fondali. Sulla mappa degli angoli di mondo dove cavalcare le onde (it.surf-forecast.com), la località dell'Iglesiente è segnalata come fairly consistent, che si traduce nel loro gergo come affidabile per vento e onde regolari. A settembre, la stagione più propizia, la minuscola piazzetta lastricata in pietra di questo villaggio di pescatori diventa il ritrovo degli appassionati della tavola a vela che si dividono tra i ristorantini low cost come Le Terrazze. La loro piccola geografia cambia ogni estate (per aggiornarsi c'è il sito portixeddu.it), ma il pesce è sempre freschissimo e il liquore di mirto sempre ben ghiacciato. Il primo ormeggio ridossato dallo scirocco (ma esposto a ponente e al maestrale) è a Buggerru. L'ingresso in porto richiede però attenzione per i frequenti fenomeni di insabbiamento.
Nella più famosa delle cittadelle minerarie della Sardegna, inserita nella mappa del Parco Geominerario della Sardegna, non si può non provare l'emozione di incunearsi nel ventre della Galleria Henry, una delle prime strutture ottocentesche per l'estrazione del piombo a utilizzare una locomotiva a vapore. Si trova a 50 metri sul livello del mare e attraversa per circa un chilometro l'altipiano di Planu Sartu. Qualche miglio più a sud, la splendida baia di Cala Domestica (sconsigliata solo con il maestrale) è un'oasi tropicale.
OLTRE L'ULTIMA CALA
A segnare l'arrivo a Masua è il faraglione di Pan di Zucchero, bianco scoglio calcareo che ricorda il Pão de Açúcar della Baia di Rio. Il suo spigolo meridionale, a 90 gradi sul mare, è la parete preferita dai freeclimber sardi. Davanti alla spiaggia si apre lo spettacolo della galleria Porto Flavia, ardita opera d'ingegneria mineraria con la bocca dell'ingresso sospesa sul mare e dove le bilancelle di Carloforte, le imbarcazioni a vela latina, caricavano i minerali. Ultimo porto del Sulcis-Iglesiente, Portoscuso offre un buon ormeggio anche per il rifornimento di carburante (tel. 0781509114). Da Porto Paglia, un ex villaggio di tonnaroli ora completamente restaurato, lasciando la costa per 5 chilometri verso l'interno, ci si ritrova a Gonnesa per una sosta alla locanda S'Anninnia, dove Marcella Vinci propone la fregola con le arselle. La vista del faro di Capo Sandalo e il tipico volo a spirale del Falco della Regina segnano l'arrivo all'Isola di San Pietro, dove si sceglie fra tre marina: Sifredi, Marinatour a ovest, Marina Service Yacht a sud. La navigazione intorno all'isola fa scoprire molte calette che racchiudono minuscole e solitarie spiagge in cui è meglio ormeggiare solo di giorno: Cala Fico, la Caletta, Cala Vinagra e Capo Sandalo. Le reti delle famose tonnare carlofortine vengono calate tra maggio e giugno lungo la costa nord, tra le Tacche Bianche e la Punta delle Oche, dove chi si diletta di pinne e boccaglio può vivere momenti indimenticabili: l'immersione nel sistema di reti a 40 metri di profondità, sfiorati dai tonni in branco. I ristoranti mito della cittadina-porto di Carloforte, come lo storico Tonno di Corsa e l'Osteria della Tonnara, con ottimo rapporto qualità-prezzo, sono regni della tartare di tonno e della bottarga. Ma, se siete all'ancora al Marinatour, è piacevole anche una serata marinara al suo lounge, dove il brindisi finale sarà con un Vermentino delle colline di Sant'Antioco. Agli aromi di maestrale.
7 agosto 2012
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