Un numero crescente di italiani vuole tornare in Giappone, dopo esser stato sorpreso e soddisfatto dal primo viaggio nel Sol Levante. Logico che in questi casi ci si ponga il problema di individuare percorsi e luoghi diversi da quelli più noti e celebrati, tanto più che –anche se certi posti di rivedrebbero volentieri soprattutto in alcuni periodi dell'anno– è desiderabile evitare le code di turisti all'ingresso del Padiglione d'Oro o del giardino zen del tempio Ryoanji di Kyoto. Il Giappone ha 22 siti World Heritage, ma i suoi tesori si trovano non solo e non tanto in quell'elenco di siti Patrimonio dell'Umanità, ma nel Japan Heritage.
I luoghi dell'”Eredità Giapponese” si rifanno a un concetto molto più recente, lanciato dall'Agenzia per gli affari culturali nel 2015, che si ripromette di valorizzare “narrative” locali basate su unicità di tradizioni culturali e storiche legate ai singoli territori: il fine ultimo è anche quello di rivitalizzare le economie del luogo, rafforzandone l'attrattività turistica attraverso la proposizione di “fili conduttori“ tra asset tangibili e intangibili, in una sorta di versione per turismo culturale della strategia governativa “Cool Japan”. Tra i due “concept” non c'è una relazione gerarchica ma un differente focus. Japan Heritage non intende promuovere nuove regolamentazioni per la preservazione di proprietà culturali, ma semmai pubblicizzare eredità regionali in storie coerenti.
Anche i siti World Heritage in Giappone hanno avuto una espansione in senso “narrativo”, ma in modo assai discutibile e a scapito della territorialità: basti pensare ai “Siti della rivoluzione industriale Meiji” ,una accozzaglia di archeologia industriale che va dalla provincia settentrionale di Iwate fino all'estremo sud di Kagoshima, il cui filo conduttore ad alcuni è parso piuttosto la sua strumentalità nel promuovere e rafforzare le capacità belliche del Giappone anteguerra (dalle colossali acciaierie e ferriere Yawata ai cantieri di Nagasaki da cui uscì la “Musashi”, la più grande nave da battaglia mai costruita). L'elenco dei luoghi-narrativi del Japan Heritage resta purtroppo non aggiornata: in questo caso, non sembra che le autorità puntino sul turismo straniero (in vari luoghi, in effetti, si troveranno spiegazioni solo in giapponese) e non tutti i posti indicati sono attraenti. Eccone comunque alcuni da provare.
Le mete da esplorare
Il Dewa Sanzan è un'ottima alternativa al più noto Koya-san per chi vuole fare una sorta di pellegrinaggio buddista tra i monti, città relativamente secondarie come Gifu e Takayama hanno molto da offrire, il Sentiero della Letteratura di Onomichi ha un suo fascino particolare così come l'antica strada
commerciale di Kisoji.
«Hakone Hachiri: lungo l'antica via Tokaido, da Odawara a Mishima
Una recente addizione alla lista Japan Heritage è Hakone Hachiri, agevolmente visitabile in quanto in un'area poco sotto Yokohama in direzione del Monte Fuji e già nota come destinazione
turistica per gli “onsen” (terme) e alcuni musei (compreso quelli del vetro veneziano e del Piccolo Principe di Saint-Exupery).
Questo tour Japan Heritage è agevole, in quanto inizia non lontano da Tokyo, a Odawara (raggiungibile sia con lo Shinkansen
sia, per chi non avesse il JR Rail Pass, con i treni ordinari). Offre l'occasione per dare un'occhiata a due città normalmente
trascurate: Odawara con il suo castello (e museo interattivo sui samurai) e Mishima (punto di arrivo) con il suo famoso santuario shintoista e – recente aggiunta modernista – la “Skywalk” (un ponte sospeso pedonale di 400 metri con panoramica spettacolare sul Monte Fuji).
Il cammino nella storia
Hachiri significa “8 ri”, ovvero una distanza di circa 30 km, quella tra Odawara e Mishima attraverso la regione montuosa
di Hakone. Solo in questo tratto è possibile oggi avere un’idea di come fosse la più famosa strada del Giappone: Tokaido,
la Via del Mare Orientale che univa l'antica capitale imperiale Kyoto, alla città sede del potere politico-militare, la Edo
degli shogun che sarebbe stata ribattezzata Tokyo nel divenire capitale. Una strada completata nel 1624 (si fa per dire, visto
che per ragioni di sicurezza e controllo quasi non esistevano ponti sui fiumi), entrata nella storia dell'arte grazie agli
artisti dell'ukiyo-e. Se Hiroshige produsse la serie delle “53 stazioni della Tokaido” (punti di sosta e di controllo), con scene a volte umoristiche di ciascuna delle tappe principale del percorso di 514 km,
anche altri maestri delle stampe giapponesi come Kuniyoshi, Kunisada e Hokusai presero non di rado a soggetto ambienti naturali
e scene di vita lungo il principale asse viario del Paese. La decima stazione illustrata da Hiroshige, quella di Hakone, è una delle più belle: rende bene le difficoltà del faticoso cammino tra i monti, in uno scenario di bellezza travolgente,
sullo sfondo del mare e del monte Fuji.
Nei tratti del sentiero in salita, pavimentati con grosse pietre, che si alternano a percorsi più pianeggianti bordati da altissimi cedri secolari (alcuni di almeno 350 anni), viene spontaneo immaginarsi i lunghi cortei dei Daimyo, i signori feudali costretti a recarsi personalmente, con un seguito adeguato e dispendioso, a rendere omaggio allo Shogun, secondo il sistema del “Sankin Kotai” (presenza ad anni alterni). Solo nel 1680 lo shogunato decise di pavimentare la strada con pietre, per rendere più agevole la salita verso gli 834 metri del passo di Hakone. Lì è stato fedelmente ricostruito nel 2007, sulla riva del lago Ashi e sulle fondamenta originali, il più importante checkpoint (“sekisho”) dello shogunato, che quest'anno compirebbe 400 anni. Ogni viaggiatore era rigorosamente controllato, in quello Stato di polizia che pure garantì la pace, interna ed esterna, per due secoli e mezzo dopo un lungo periodo di guerre civili. Controlli ancora più in uscita che in entrata verso Tokyo: particolarmente occhiuta la vigilanza sulle donne, visto che i daimyo dovevano lasciare in ostaggio a Edo moglie e figli quando tornavano nel loro feudo. Tra i manichini piazzati nel sekisho, fa impressione quello di una donna sottoposta a rigidissima e umiliante ispezione: non esistevano fotografie e i funzionari del governo dovevano verificare con il massimo scrupolo la corrispondenza delle fattezze della donna alla descrizione inserita del documento di viaggio.
Una sosta nei ryokan
Delle centinaia di case da tè e di ristoro che un tempo punteggiavano la Tokaido, la Amazake Chaya (ovviamente ricostruita)
dà un'idea di come dovevano essere le soste dei viaggiatori di una volta, mentre alcuni ryokan tradizionali – come il Banzuiro Fukuzumi e il Kansuiro (che pure risalgono teoricamente a 400 anni fa o già di lì) fanno piuttosto assaporare l'atmosfera di fine ‘800 o degli inizi
del ‘900. “Yosegi Zaiku”, la tecnica del mosaico su legno, è tramandata di generazione in generazione solo in quest'area,
nell'utilizzo dei diversi colori naturali del legno per comporre disegni geometrici. Particolarmente apprezzati come regali
sono le scatolette portapreziosi a disegno geometrico (naturale e non stampato), che si possono aprire solo con una serie
sequenziale di movimenti (fino a parecchie decine) che fanno da “combinazione” al posto di una chiave o di una tastiera. Spesso
i bambini riescono a indovinare le sequenze necessarie per aprile prima degli adulti. All'Hamamatsuya si può anche vedere all'opera Ichiro Ishikawa, esponente della settima generazione di una famiglia di artigiani del legno
che sa padroneggiare le tecniche tradizionali della zona.
Oggi Tokaido identifica la linea ferroviaria veloce (Shinkansen) aperta nel 1964, in occasione delle Olimpiadi di Tokyo, che uscirà dai radar nel 2027 quando dovrebbe entrare in funzione l'iperveloce Maglev tra la capitale e Nagoya (quasi tutto in tunnel). Se l'alta velocità ferroviaria di cui il Giappone fu pioniere si è diffusa nel mondo, resta unica l'esperienza, da fare a piedi dell'Hakone Hachiri.
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