La fabbrica italiana dell’AI
Strategie per generare valore con l’intelligenza artificiale

INTRODUZIONE
L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando ogni settore economico e produttivo su scala globale. E non parliamo solo della cosiddetta AI generativa, che ha catturato l’attenzione del grande pubblico grazie alla popolarità di strumenti come ChatGpt di OpenAI, Gemini di Google e Copilot di Microsoft e alle loro avanzate capacità di generare contenuti inediti. L’AI è anche sinonimo di machine learning e di sistemi analitici e di supporto ai processi decisionali che trasformeranno (e stanno già trasformando profondamente) comparti chiave come il manufacturing e il retail.
Per un Paese a forte vocazione industriale come l’Italia, l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità unica per migliorare l’efficienza delle operations di fabbrica e diventare, se ben gestita, un motore di innovazione e di crescita per l’intero sistema Paese. Tecnologie alimentate dagli algoritmi come la manutenzione predittiva o la computer vision permettono di ridurre guasti e sprechi e di abilitare controlli di qualità più precisi; logistica e supply chain, a loro volta, possono beneficiare dell’AI per una gestione più efficiente delle scorte e dei trasporti mentre i cobot (i robot collaborativi) aiuteranno a ripensare il modo di operare, in totale sicurezza, all’insegna di una maggiore interazione fra macchine e addetti umani.
Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, l’adozione dell’intelligenza artificiale in Italia è in forte crescita, nonostante evidenti criticità legate agli investimenti e alle competenze. Le opportunità economiche e le potenzialità legate all’applicazione di questa tecnologia sono comunque enormi e studi condotti da Deloitte e CapGemini evidenziano in proposito come le aziende che investono in AI registrano miglioramenti significativi in termini di efficienza, produttività e competitività. Le imprese sono chiamate a porre attenzione anche a un’altra tendenza emergente, quella dell’AI agentica. Secondo l’ultimo rapporto “Technology Vision 2025” di Accenture, un terzo dei dirigenti aziendali italiani prevede un incremento significativo nell’uso di agenti intelligenti nei prossimi tre anni
Una delle sfide che accompagnano lo sviluppo dell’AI sono i consumi necessari per far funzionare le infrastrutture computazionali (i data center) che elaborano i dati e addestrano i modelli algoritmici; gli interrogativi non riguardano solo i costi operativi dell’intelligenza artificiale, ma anche la sua sostenibilità ambientale. Molti progetti falliscono perché non sono economicamente scalabili o non tengono conto della carbon footprint delle architetture AI. Per contro, la tecnologia può essere parte della soluzione: sistemi intelligenti vengono già impiegati per ottimizzare il fabbisogno energetico, per prevedere i picchi di domanda e migliorare la gestione delle risorse nelle reti elettriche e all’interno delle fabbriche. L’obiettivo per tutti è quello di bilanciare la domanda di energia delle infrastrutture It con l’effettiva utilità dei modelli generativi e predittivi: senza un approccio strategico, si rischia di disperdere risorse su iniziative non sostenibili a lungo termine.
Un altro possibile ostacolo alla diffusione dell’AI in Italia è la carenza di competenze. Le aziende faticano a trovare professionisti qualificati e il fenomeno della “brain drain” porta i talenti a cercare opportunità all’estero. Per affrontare questa sfida, è necessario da una parte rafforzare la collaborazione tra università, centri di ricerca e aziende per creare percorsi formativi dedicati e dall’altra investire su soluzioni che permettono di sviluppare applicazioni AI senza bisogno di skill tecniche avanzate.
L’altra faccia del problema è l’impatto dell’AI sull’occupazione: diversi studi evidenziano in realtà come la tecnologia degli algoritmi e dei modelli Llm porterà a un aumento della produttività senza necessariamente ridurre i posti di lavoro. Meno di un terzo delle imprese su scala globale ha però investito adeguatamente nel reskilling del proprio personale.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE: LA RIVOLUZIONE CHE CAMBIERÀ LE AZIENDE
Gli strumenti di Gen AI e gli algoritmi di machine learning trasformeranno interi settori, dal retail all’industria fino alla PA.

È indubbio che la Gen AI sia al centro dell’attenzione per le sue capacità di creazione di contenuti originali. Il vero impatto, e il vero valore dell’applicazione dell’intelligenza artificiale nei processi (dentro e fuori i confini aziendali), va però ben oltre l’orizzonte la generazione di testi o immagini. L’impatto degli algoritmi di machine learning e degli strumenti basati su modelli linguistici avanzati sarà sostanziale anche in altri ambiti, sotto forma di soluzioni analitiche e predittive in grado di trasformare interi comparti come la produzione manifatturiera (ampliando esponenzialmente le opportunità di fare efficienza che già garantivano sensori e Internet of Things) o funzioni strategiche come il marketing o il customer service in ambiti quali il retail, dove l’analisi dei dati in tempo reale consente una gestione più ottimizzata del procurement e della supply chain e una maggiore personalizzazione dell’esperienza cliente. Lo scenario che descrive oggi la diffusione dell’intelligenza artificiale su scala globale vede l’Europa di fronte ad alcune significative sfide per competere efficacemente con Stati Uniti e Cina, a cominciare da una capacità di investimento inferiore rispetto alle due controparti. Va in questa direzione, del resto, il recente annuncio da parte della Ue dell’iniziativa InvestAi, il cui obiettivo è quello di mobilitare 200 miliardi di euro di fondi per garantire anche alle piccole imprese l’accesso a risorse computazionali avanzate.

Lo stato dell’arte in Italia
Il mercato italiano dell’AI ha raggiunto a fine 2024, secondo i dati raccolti dallo Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di
Milano, un valore di 1,2 miliardi di euro, con una crescita del 58% rispetto all’anno precedente e un contributo dell’intelligenza artificiale generativa pari al 43% del totale (il restante 57% è costituito da soluzioni di machine learning tradizionali). Oltre la metà delle grandi imprese (il 59%) vanta progetti in corso e i settori più attivi sono telecomunicazioni, assicurazioni, energia, finanza e grande distribuzione; la pubblica amministrazione, pur partendo da una base più contenuta, sta registrando una crescita esponenziale, con un incremento superiore al 100%. Il rapporto “Harnessing the value of generative AI” di Capgemini conferma l’entusiasmo generalizzato per questa tecnologia anche nel nostro Paese, con il 75% delle aziende (contro una media globale del 60%) convinte del potenziale trasformativo della Gen AI per quanto riguarda ricavi, produttività e innovazione e con un 65% di imprese (il dato mondiale si ferma al 49%) che ha iniziato a lavorare a progetti pilota e a iniziative legate all’uso dei modelli Llm.
Un impatto potenziale enorme
L’AI non è dunque una moda passeggera, ma una rivoluzione che rimodellerà il modo in cui le imprese operano e competono su scala globale e trasformerà le dinamiche del mercato del lavoro, richiedendo una profonda riorganizzazione e riqualificazione delle mansioni aziendali. L’impatto economico dell’intelligenza artificiale generativa, in particolare, è stimato dagli analisti di McKinsey in una forbice compresa fra i 2,6 e i 4,4 trilioni di dollari l’anno, con un aumento della produttività che potrebbe oscillare dallo 0,2 al 3,3% entro il 2040. I Cio, secondo Gartner, svolgeranno un ruolo cruciale nel portare questa tecnologia dentro le aziende, e un terzo di queste figure prevede di implementare una strategia di sviluppo e test potenziata sulla Gen AI già entro il 2025. Gli ostacoli da superare per sfruttarne appieno il potenziale, tuttavia, non mancano e rimandano all’impatto ambientale dell’AI, all’adozione di linee guida per il suo impiego responsabile e alla necessità di investire in competenze, infrastrutture It e governance.


L’AI ALLA RICERCA DI EQUILIBRIO TRA PRESTAZIONI E SOSTENIBILITÀ
La capacità di elaborazione richiesta dagli algoritmi comporterà un aumento dei consumi energetici. La soluzione? Efficientamento e fonti rinnovabili.

L’impiego dell’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità fondamentale per lo sviluppo e l’efficientamento di ogni settore produttivo, ma a sua volta implica un grande fabbisogno di energia. Data center a basso consumo, utilizzo di algoritmi efficienti e sfruttamento delle fonti rinnovabili sono tre obiettivi che le imprese sono chiamate a soddisfare per sviluppare strategie di AI sostenibili per l’ambiente.
La diffusione sistemica di questa tecnologia nelle aziende determinerà un veloce incremento del numero di server farm sparse nel mondo. Ognuno di questi siti richiederà risorse energetiche significative per alimentare e raffreddare server, soluzioni di storage avanzate, router e sistemi Ups grazie ai quali viene effettuato l’addestrame-
nto e l’utilizzo dei modelli di intelligenza artificiale. La prima domanda che ci si deve porre, dunque, è da dove arriverà l’elettricità necessaria per far funzionare tutti questi apparati.
Secondo uno studio di Beyond Fossil Fuels, la richiesta di elettricità dei data center europei, per effetto delle maggiori capacità di elaborazione imposte dall’AI, potrebbe aumentare fino al 160% entro il 2030, raggiungendo i 287 TWh (un valore che supera i consumi della Spagna del 2022). Nonostante le fonti rinnovabili siano in rapida crescita, difficilmente saranno sufficienti a soddisfare il nuovo fabbisogno, anche perché a livello mondiale il problema non è meno impattante. Oggi i data center consumano tra l’1% e il 2% dell’energia globale, e secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Iea) il loro fabbisogno potrebbe raggiungere oltre 1.000 TWh entro il 2026, con una crescita del 120% rispetto al 2022.
Il fattore “liquid cooling”
La seconda questione cruciale per la sostenibilità dell’AI è la riduzione, a monte, del fabbisogno energetico.
Le applicazioni dei sistemi di machine learning e i modelli di linguaggio di grande formato lavorano con Gpu con capacità di calcolo sempre più efficienti ma in parallelo si accentua il problema della dissipazione del calore prodotto dall’hardware, perché i rack diventano sempre più densi. In questo contesto, l’utilizzo di soluzioni innovative per la dissipazione del calore come il “liquid cooling”, ossia il raffreddamento a liquido, è uno degli strumenti più efficaci (e meno impattanti, grazie al suo eventuale recupero per la climatizzazione degli spazi interni) per diminuire i consumi di un’infrastruttura It complessa.
Se l’AI rappresenta quindi una sfida per il fabbisogno di risorse, rappresenta al contempo anche un’opportunità. Il monitoraggio dei consumi e l’analisi in tempo reale dei dati possono infatti contribuire al miglioramento dell’efficienza operativa sfruttando l’intelligenza di algoritmi che distribuiscono i carichi di lavoro in modo ottimizzato, aumentando la capacità di prevenire guasti e razionalizzando ulteriormente il ricorso a sistemi di raffreddamento per la climatizzazione dei locali. Grazie all’AI, in altre parole, i data center possono sfruttare le fasi di maggiore generazione di energia pulita per eseguire operazioni complesse, come l’elaborazione di big data o l’addestramento dei modelli Llm. In base a determinati parametri critici, per esempio, è sin d’ora possibile regolare automaticamente le velocità delle ventole o il flusso dei fluidi di raffreddamento, migliorando nettamente sia gli indici Pue (Power Usage Effectiveness, relativo a livello di efficienza nell’utilizzo di energia in una sala macchine) sia quelli Wue (Water Usage Effectiveness, relativo al consumo di acqua).

MENO SPRESCHI E PIÙ EFFICIENZA: CON INDUSTRIA 5.0, IL MANUFACTURING ENTRA NEL FUTURO
Dall’AI alla computer vision: le nuove tecnologie rendono la fabbrica più intelligente per anticipare le tendenze e gestire meglio la produzione.
Di fabbrica intelligente si parla da tempo, da quando gli incentivi statali del “progetto” Industria 4.0 varato nel 2016 hanno cercato di stimolare gli investimenti per la digitalizzazione del comparto manifatturiero italiano. Oggi il nuovo modello a cui riferirsi è Industria 5.0 e segna un’evoluzione rispetto al precedente, introducendo un’interazione più avanzata tra uomo e macchina. L’AI, insieme ad altre tecnologie innovative come i digital twin, il machine learning e la realtà aumentata, permette di ripensare ulteriormente le fabbriche e trasformarle in ambienti ancora più connessi e intelligenti, con l’obiettivo finale di migliorare efficienza, sicurezza e (non di meno) la sostenibilità e la competitività delle imprese. Nella fabbrica “parlante”, in altre parole, i sensori IoT e i sistemi predittivi forniscono informazioni in tempo reale per ottimizzare la produzione e i flussi di lavoro e l’intelligenza artificiale, che di questo nuovo cambiamento è un catalizzatore, entra in gioco per elaborare enormi volumi di dati, contribuendo in modo determinante a monitorare lo stato delle macchine e ad affinare la previsione dei guasti e gli interventi di manutenzione, riducendo i tempi di fermo e i relativi costi.
Fra Gen AI, cobot e computer vision
La “predictive maintenance” è una faccia di questa trasformazione e fa leva sulla capacità degli algoritmi di analizzare i dati storici per individuare i modelli che indicano potenziali malfunzionamenti, mentre grazie agli strumenti di AI generativa diventa più facile implementare applicazioni per l’automazione dei processi decisionali e dell’assistenza tecnica tramite chatbot. L’intelligenza artificiale applicata al mondo manifatturiero svolge un ruolo chiave anche nella riduzione degli sprechi di materiali ed energia. La mappatura in tempo reale dei dati di produzione permette per esempio di identificare immediatamente le aree di inefficienza e di ottimizzare con maggiore precisione i parametri di processo. Gli algoritmi di AI, nello specifico, possono regolare in tempo reale la temperatura dei forni o la velocità delle macchine, minimizzando il consumo energetico e massimizzando la resa delle linee di produzione.
La robotica, nel nuovo concetto di fabbrica, fa un passo in avanti importante grazie ai cobot, i robot collaborativi, e cioè sistemi progettati per lavorare a fianco degli operatori umani, svolgendo compiti ripetitivi o pericolosi e migliorando la sicurezza sul lavoro. Un elemento distintivo di Industria 5.0 è per l’appunto la collaborazione tra addetti e macchine intelligenti: da una parte l’AI consente ai robot di adattarsi dinamicamente all’ambiente circostante, apprendendo nuovi compiti e collaborando in modo più efficiente con le persone; dall’altra gli operatori non si limitano a supervisionare i sistemi automatizzati ma interagiscono attivamente con essi, sfruttando le proprie capacità cognitive per risolvere problemi. Se i “gemelli digitali”, infine, abilitano la creazione di modelli virtuali per testare e simulare nuovi scenari di processo senza interferire con la produzione reale (tagliando i costi di prototipazione e accelerando lo sviluppo di nuovi prodotti), la computer vision alimentata dall’AI trova sempre più frequente applicazione per automatizzare il controllo qualità e verificare la conformità di prodotti di diverse forme e dimensioni attraverso l’analisi delle immagini, individuando difetti e anomalie (che richiederebbero costose rilavorazioni) con una precisione superiore a quella umana.
L’integrazione delle tecnologie intelligenza artificiale nei sistemi di automazione industriale è dunque sinonimo di processi più flessibili e adattabili, di maggiore capacità di variare i parametri di produzione in tempo reale per rispondere alle variazioni della domanda o alle esigenze specifiche dei clienti. E non meno rilevante, infine, è l’impatto dell’AI e sulla supply chain e sulla logistica: la complessità delle catene di fornitura (e il rischio di rottura degli stock) è oggi tale da richiedere una gestione delle scorte ancora più accurata, che passa necessariamente dalla riduzione dei tempi di consegna delle materie prime e da previsioni di domanda più precise legate alla possibilità di interpretare tendenze e variabili di mercato non preventivate.

GLI AGENTI AI RIDISEGNANO IL FUTURO DELLE IMPRESE
Un terzo dei dirigenti italiani investirà in strumenti intelligenti capaci di interagire con soggetti digitali e persone fisiche.
Il tessuto economico ed industriale italiano è caratterizzato da piccole e medie imprese e questa peculiarità ha rappresentato spesso un limite, negli ultimi due decenni almeno, per il processo di digitalizzazione e di transizione tecnologica. L’opportunità di ridurre il divario con altre nazioni europee è però tutt’ora percorribile ed è legata all’adozione sistemica delle soluzioni di intelligenza artificiale. Se Germania e la Francia hanno già avviato piani strategici per l’implementazione dell’AI su larga scala, l’Italia può sfruttare l’agilità propria delle Pmi e la crescita costante dell’ecosistema dell’innovazione com-
posto da startup, grandi imprese e centri di ricerca per implementare queste tecnologie con maggiore flessibilità e rapidità. L’integrazione tra machine learning e robotica consente sin d’ora AI robot di adattarsi a nuovi compiti senza bisogno di riprogrammazione e di pari passo l’impiego degli agenti AI nei processi produttivi e gestionali costituisce una leva strategica per migliorare l’efficienza e ridurre i costi operativi delle imprese, incrementando sia i livelli di produttività sia la capacità di adattarsi alle sfide dettate dal mercato globale.

Secondo il rapporto Technology Vision 2025 di Accenture, oltre un terzo dei dirigenti italiani prevede un incremento significativo nell’uso di sistemi intelligenti in grado non solo di apprendere nozioni e di automatizzare processi ma anche di interagire autonomamente con ambienti e soggetti digitali e fisici. L’integrazione dell’AI “agentica” in alcuni settori chiave come il manifatturiero avanzato, il retail, la sanità e i servizi finanziari, aiuterebbe in altre parole a gestire più facilmente attività ripetitive affidandole alle macchine” (gli agenti virtuali) e a garantire AI manager aziendali un supporto decisionale più efficace, basato su analisi dei dati previsionali. Se la crescente accessibilità di questi strumenti sta rendendo più semplice e meno costosa l’adozione dell’AI, accelerando la creazione di software e semplificando l’accesso alla tecnologia, l’intelligenza artificiale – come evidenzia ancora il rapporto – non va più considerata come un’innovazione finalizzata al solo incremento di efficienza, bensì un elemento chiave nel percorso di trasformazione di qualsiasi organizzazione, proprio perché ha raggiunto livelli di autonomia senza precedenti.
Affinché l’AI diventi un vero motore di crescita e si possano massimizzarne benefici e potenzialità, occorre quindi affrontare diverse sfide che rimandano alla necessità di investire nell’ammodernamento delle infrastrutture digitali esistenti, nella formazione della forza lavoro e, nondimeno, in progettualità che prevedono la collaborazione tra pubblico e privato. L’automazione di molte attività richiederà competenze nuove, con un’enfasi crescente su mansioni e professionalità legate alla gestione dei sistemi di intelligenza artificiale, all’analisi dei dati e alla cybersecurity. Un tema chiave e cruciale è in tal senso la fiducia nei sistemi di AI, requisito essenziale affinché lavoratori, utenti e consumatori possano accettare e integrare questa tecnologia nella loro vita quotidiana.
Secondo gli esperti, le aziende e i rispettivi leader devono prepararsi a un futuro in cui l’AI sarà ovunque e agirà in completa autonomia (in qualità di assistente intelligente) per conto delle persone. La fiducia diventa quindi un asset strategico, senza il quale le organizzazioni rischiano di perdere enormi opportunità di crescita. L’88% dei dirigenti italiani, non a caso, ritiene fondamentale comunicare la strategia aziendale sull’intelligenza artificiale per rafforzare la fiducia dei propri dipendenti; per contro, solo il 46% degli stessi manager prevede di rendere accessibili nell’arco dei prossimi tre anni strumenti di AI generativa agli addetti della propria organizzazione, evidenziando la necessità di maggiore consapevolezza e pianificazione. Perché l’adozione consapevole e strategica degli agenti è un’opportunità da non perdere, e senza precedenti, per ridefinire i modelli di business e proiettare il sistema produttivo nazionale verso una nuova fase di innovazione.

PIÙ COMPETENZE PER I LAVORATORI: IL FUTURO DELL’AI È NEL FATTORE UMANO
Solo una minoranza degli addetti è pronta a utilizzare al meglio la tecnologia.
Gli agenti no-code e low-code una soluzione.

L’intelligenza artificiale sta portando a un nuovo livello le ambizioni delle imprese, ma per trasformare gli investimenti in reale impatto positivo si deve agire sul fattore umano, ad oggi ancora un “ostacolo” alla realizzazione delle grandi promesse dell’AI. La radice del problema è nota: all’interno delle imprese servono specialisti qualificati e, ancora prima, serve personale con competenze aggiornate. Secondo la ricerca “The State of Digital Adoption 2025: Special AI Edition” condotta da WalkMe (una società di SAP), il 79% dei manager esprime fiducia nelle potenzialità di trasformazione di questa tecnologia, ma solo un quarto dei dipendenti si sente adeguatamente formato e in grado di sfruttarla per lavorare in modo più efficiente. La forza lavoro aziendale, in altre parole, non ha ancora la necessaria familiarità con i nuovi strumenti, tanto da sprecare in media più di 30 giorni lavorativi all’anno per imparare ad utilizzarli. Così facendo, non solo l’AI non genera valore, ma diventa per l’appunto anche un ostacolo alla produttività.

La carenza di formazione adeguata risulta essere una criticità anche all’interno del mondo dei professionisti It. Il nostro Paese, in particolare, soffre di un grave divario di competenze nel settore tecnologico, con una domanda di esperti AI che supera di gran lunga l’offerta disponibile, e necessita di investimenti e progetti mirati per contrastare il fenomeno del brain drain (la fuga di cervelli) e preparare una generazione di nuovi talenti. E se le università sono chiamate ad ampliare l’offerta formativa in ambito AI promuovendo percorsi interdisciplinari e partnership con il settore privato, le aziende devono a loro volta indirizzare risorse sulla riqualificazione del personale esistente, favorendo l’acquisizione di competenze digitali avanzate.
Una possibile risposta al problema dello skill shortage è l’adozione di agenti no-code e low-code, e quindi soluzioni che possono avviare un processo di “democratizzazione” dell’intelligenza artificiale mettendo nella condizione di creare applicazioni anche chi possiede competenze di programmazione limitate. Lo evidenzia l’ultima indagine “State of It” di Salesforce, condotta su oltre 2.000 leader dello sviluppo software. Più di quattro intervistati su cinque ritengono che gli agenti AI diventeranno essenziali per lo sviluppo di app quanto i tool software tradizionali mentre l’85% dei developer che utilizzano l’AI agentica ricorre già oggi a sistemi no-code e low-code. Questa nuova modalità di programmazione permette di ridurre il tempo da dedicare a compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto, come la scrittura di codice e il debug, per dedicarsi ad attività più strategiche e di maggiore impatto.
L’introduzione di questi strumenti, osservano gli esperti, sta rivoluzionando il modo di lavorare degli sviluppatori, rendendo la creazione del software più veloce ed efficiente. Parliamo infatti di una potente forza lavoro digitale che semplifica l’attività di sviluppo assistendo i professionisti nella scrittura, nella revisione e nell’ottimizzazione del codice, sbloccando nuovi livelli di produttività. Automatizzando compiti come la pulizia dei dati, il debug e i test di base, gli agenti AI liberano il tempo da dedicare alla codifica manuale per destinarlo alla risoluzione di problemi complessi e di elevato valore e al miglioramento del processo decisionale. Non mancano però le criticità. Se oltre l’80% degli sviluppatori è convinto del fatto che la conoscenza dell’AI sta diventando una competenza di base per la loro professione, più della metà di essi non ritiene di essere completamente preparata per affrontare l’era degli agenti. La stragrande maggioranza di chi scrive software punta il dito, oltre che sulle carenze in fatto di formazione, sull’inadeguatezza delle infrastrutture It e sulla insufficiente qualità dei dati, condizioni invece indispensabili per lo sviluppo degli agenti AI.


RIPENSARE IL LAVORO PER VINCERE LA SFIDA DELL’AI
L’adozione dell’intelligenza artificiale in azienda richiede un cambio culturale e di approccio: occorre partire dalle competenze e dalla formazione continua delle persone.
L’intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo del lavoro, ma non rappresenta necessariamente una minaccia per ’occupazione. Anzi, per molte aziende l’AI costituisce un’opportunità strategica per migliorare la produttività aziendale e ottimizzare i processi, senza ridurre il numero di dipendenti. Stando ai risultati dello studio ai Radar 2025 di Bcg, infatti, il 75% dei dirigenti aziendali su scala globale considera l’AI una priorità strategica e oltre due terzi prevede di mantenere invariato il proprio organico, concentrandosi invece sul potenziamento delle competenze dei lavoratori per adeguarle alle nuove tecnologie. L’indagine mostra in particolare che solo una piccola minoranza dei leader intervistati, meno del 10% nel complesso e appena il 3% in Italia, indica possibili tagli al personale in relazione alla maggiore automazione abilitata dall’AI.

Parallelamente, circa un quinto dei manager è dell’idea che l’intelligenza artificiale rimodellerà la forza lavoro introducendo nuovi ruoli, mentre solo l’8% si aspetta un incremento del numero degli addetti. Tutti questi dati stanno chiaramente ad indicare come il cambiamento non riguarderà tanto la riduzione dei posti di lavoro quanto la trasformazione delle singole mansioni svolte dalle persone, rendendo quanto mai importante il processo di reskilling e upskilling di tutte le figure che compongono un’organizzazione.
Un aspetto fondamentale evidenziato dagli esperti di Bcg, in tal senso, è la corretta ripartizione delle risorse investite. Per superare le difficoltà che la maggior parte delle imprese incontrano nel ripensare i flussi di lavoro, promuovere il cambiamento culturale e selezionare i talenti funzionali alle proprie esigenze occorre seguire un preciso modello, secondo il quale il 70% degli sforzi aziendali deve essere destinato alla trasformazione delle persone e dei processi, il 20% all’ottimizzazione di dati e tecnologie e solo il 10% allo sviluppo di algoritmi.
Tale approccio è ritenuto cruciale per affrontare alcune criticità che incidono direttamente sulle possibilità di successo delle iniziative di AI, quali la privacy e la sicurezza dei dati, la mancanza di controllo o di comprensione delle indicazioni suggerite dagli algoritmi e il rispetto delle normative di conformità vigenti. Tuttavia, circa due terzi delle aziende riscontrano ancora oggi problematiche significative nel reimmaginare i flussi di lavoro, guidare il cambiamento culturale, attrarre e reclutare talenti necessari per la propria organizzazione e riqualificare la propria forza lavoro. Per trarre il massimo beneficio dalle applicazioni di intelligenza artificiale, confermano in tal senso gli analisti di Bcg, è fondamentale garantire un impegno costante alla creazione di valore, assicurare un’esecuzione disciplinata dei progetti e coltivare una forza lavoro capace di adattarsi in un contesto in continua evoluzione.

L’adozione dell’AI e degli strumenti di Gen AI in azienda deve quindi essere accompagnata da un impegno costante nella formazione continua e nell’aggiornamento delle competenze digitali dei dipendenti, che solo così potranno adattarsi con sicurezza ai cambiamenti in atto e contribuire attivamente a un processo di trasformazione che non può prescindere da una crescita congiunta di innovazione tecnologica e del capitale umano. Uno degli aspetti più importanti dell’ingresso dell’intelligenza artificiale nel mondo lavorativo è la sua capacità di automatizzare compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto, permettendo alle persone di concentrarsi su attività più strategiche, creative e a maggior valore aggiunto.
Questo significa che i lavoratori non vengono sostituiti, ma hanno la possibilità di evolversi verso ruoli di maggiore responsabilità e impatto. Nel settore manifatturiero, per esempio, l’AI può essere utilizzata per monitorare la qualità dei prodotti, ridurre gli sprechi e ottimizzare i tempi di produzione, mentre gli operai possono essere formati per supervisionare e gestire questi nuovi sistemi. Nel settore dei servizi, invece, gli assistenti virtuali che sfruttano le funzionalità di analisi degli algoritmi stanno trasformando il modo in cui le aziende interagiscono con i clienti, ma al tempo stesso richiedono personale qualificato per la gestione e la personalizzazione di questi strumenti.
Lo scenario è ben delineato, ma allo stato attuale meno di un terzo delle aziende ha aggiornato le competenze di almeno un quarto del proprio organico. Un dato che evidenzia un solco tra le buone intenzioni e le azioni concretamente intraprese, un solco che solo l’accelerazione degli sforzi formativi per aumentare il livello di competenze potrà velocemente colmare, riducendo ai minimi termini il rischio di perdita occupazionale.
