
Consorzio iNEST, 200 progetti finanziati e 400 imprese coinvolte: ora una strategia per il futuro del Nordest
Duecento progetti finanziati, 400 imprese partecipanti, 800 ricercatori di università e centri di ricerca del Nordest coinvolti, di cui 450 giovani contrattualizzati dal progetto. Sono i numeri del progetto iNEST, che dopo la chiusura del PNRR intende continuare a connettere ricerca, innovazione e imprese.
Duecento progetti finanziati, 400 imprese partecipanti, 800 ricercatori di università e centri di ricerca del Nordest coinvolti, di cui 450 giovani contrattualizzati dal progetto. Sono i numeri dei primi tre anni di attività del Consorzio iNEST, che dopo la conclusione del PNRR intende continuare a lavorare per connettere ricerca, innovazione e imprese.
«INEST è un ecosistema dell 'innovazione, cioè un’aggregazione che raccoglie le imprese, università e centri di ricerca per sviluppare, appunto, idee e progetti innovativi – spiega Franco Bonollo, docente del Dipartimento di Tecnica e gestione dei sistemi industriali dell'Università di Padova e presidente del Consorzio iNEST –. Finanziato grazie alle risorse del PNRR, iNEST si è strutturato nel 2022 come un consorzio che raccoglie come soci tutti gli atenei del Nordest, da Bolzano a Trento a Trieste, dove aderiscono sia l’Università che la SISSA, passando per Udine, Padova, Venezia Ca’ Foscari e Iuav, Verona, il CNR - Consiglio nazionale delle ricerche e OGS - Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, oltre a una serie di enti di trasferimento tecnologico. Gli argomenti trattati da INEST sono molto variegati, tenuto conto della varietà di vocazioni che troviamo nel Nordest. Andiamo dagli approfondimenti negli ambiti montani e marini al settore alimentare, dal Digital Twin all'industria manifatturiera avanzata, dagli ambienti di lavoro sostenibili al turismo, dall'industria creativa alle città sostenibili e a misura d'uomo».
Luca Fabbri, direttore generale Consorzio iNEST, entra nel dettaglio delle risorse messe in campo: «Abbiamo avuto in dotazione dal PNRR, nell’ambito della linea di finanziamento agli ecosistemi dell’innovazione, fondi per 110 milioni di euro, distribuiti tra 22 soci partecipanti. Questi fondi sono stati destinati per la maggior parte ad attività di ricerca, circa 48 milioni, e altri 45 milioni sono invece andati a co-finanziare progetti di ricerca per le imprese. Tra i progetti del PNRR per gli ecosistemi dell’innovazione, il nostro è quello che ha destinato il maggior numero di risorse alle aziende».
Il consorzio in questi tre anni di attività si è impegnato per valorizzare le competenze e le eccellenze in questi diversi ambiti, creando sinergie concrete tra università ed enti di ricerca, in primo luogo, e poi, con strumenti ad hoc come i bandi a cascata, mettendo queste competenze a disposizione dell’innovazione sviluppata dalle aziende.
«Centodieci milioni di euro da spendere in tre anni sono una cifra molto importante, ma siamo perfettamente in linea con le previsioni di spesa – spiega Fabbri –. Per riuscirci, è stato fondamentale dar vita a un approccio molto collaborativo e molto efficiente da parte degli atenei, ciascuno dei quali gestisce uno “Spoke” tematico verticale. Oltre ai fondi, va evidenziato il grande numero di ricercatori, ben 800 di cui 450 giovani contrattualizzati all’interno del progetto iNEST, e di imprese, 400, che hanno partecipato a circa 200 progetti».
Ora lo sguardo è già rivolto al futuro, dopo l’esaurimento dei progetti PNRR nel 2026. «Con tutti i soci del consorzio stiamo lavorando per trasformare questo grande lavoro fatto in un investimento per il futuro, riuscendo a generare un impatto duraturo sul territorio» dice il direttore Luca Fabbri, e il presidente Franco Bonollo gli fa eco: «Abbiamo di fronte a noi quattro grandi sfide: individuare i macro trend e tradurli in indicazioni precise per l'impresa del territorio, trasferire la conoscenza prodotta dagli spin-off universitari e dai laboratori misti università-impresa, erogare formazione a livello universitario e professionale aggiornata alle esigenze di un mondo del lavoro sempre più innovativo, infine la capacità di creare un network, una rete o una sorta di “club” per le aziende, che riesca a tradurre in impatto tutte le azioni innovative svolte in questi anni».
