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PA DIGITALE

PA DIGITALE

Scenari, soluzioni e priorità
per vincere la sfida della trasformazione

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INTRODUZIONE

La Pubblica Amministrazione, e quella locale in modo particolare, è un tassello ritenuto da molti addetti ai lavori fondamentale nell’economia del processo di innovazione tecnologica del sistema Paese, rivestendo non a caso un ruolo di primaria importanza nell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Per la trasformazione digitale dell’apparato pubblico sono stati fissati obiettivi molto ambiziosi (13 le milestone e 27 i target da realizzare nel corso del 2023) e questo vale in modo particolare nell’ambito del procurement, funzione per cui è prevista la completa automazione di tutto il ciclo di vita dei contratti e sono state definite significative migliorie sui tempi di aggiudicazione, realizzazione e pagamento delle gare pubbliche.

Il Pnrr mette a disposizione risorse senza precedenti per affrontare questo processo di cambiamento ed è di conseguenza vitale che i circa 10 miliardi di euro espressamente destinati alla digitalizzazione della Pa (rispetto ai complessivi 48 miliardi stanziati per ammodernare infrastrutture, imprese ed enti pubblici) vengano utilizzati in modo efficace ed efficiente, monitorandone l’impiego nel tempo e raccordando tali risorse con quelle di altri strumenti resi disponibili dalla Ue, a cominciare dai fondi di Horizon Europe.

Siamo in una nuova fase dell’attuazione del programma previsto dall’Agenda Digitale e i primi riscontri circa lo stato della realizzazione degli interventi previsti nel Pnrr per la trasformazione digitale sono incoraggianti, avendo l’Italia completato a fine 2022 il 17% di milestone e target dedicati (contro il 10% di Spagna e Francia e lo zero della Germania) e pianificato una spesa superiore (in termini percentuali) agli altri Paesi per quanto riguarda i fondi del piano Next Generation EU. Anche il dato più recente contenuto nel DESI, il Digital Economy and Society Index redatto dalla Commissione Europea, fotografa una tendenza in positivo, visto e considerato che nel 2022 il nostro Paese ha guadagnato due posizioni nel ranking relativo alla digitalizzazione, salendo dal 20esimo al 18esimo posto fra i 27 Stati membri. Il gap rimane però evidente, e lo è in particolare sui servizi pubblici digitali, dove finalmente sta trovando progressiva affermazione un modello di sviluppo e di erogazione dei servizi di tipo “Government as a Platform”, in cui la Pa diventa una piattaforma di innovazione.

La priorità, come osservano diversi esperti, è quella di tradurre in realtà le ambizioni del Pnrr, portando a termine nei tempi previsti gli interventi di digitalizzazione e accelerando sugli ambiti più critici, come lo sviluppo trasversale delle competenze digitali o l’aggiornamento dei siti della Pa, che ancora oggi lamentano una percentuale di errori a doppia cifra rispetto ai principi di accessibilità e inclusività.


DAL PNRR PUÒ ARRIVARE LA SPINTA PER COLMARE IL GAP CON L’EUROPA

Progressi, ma anche ritardi cronici: questa la fotografia che riassume lo stato di avanzamento della digitalizzazione della macchina pubblica. Back e front office sotto la lente.

Nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la Pubblica Amministrazione gioca un ruolo fondamentale, sia come soggetto a cui sono destinati gli investimenti (almeno il 60% sarà a beneficio di enti o imprese pubbliche), sia per l’attuazione del piano, in virtù del fatto che tutte le risorse sono e saranno gestite e rendicontate da Ministeri e altri uffici/dipartimenti della Pa. All’innovazione digitale dell’ecosistema Paese, il Pnrr dedica un’intera missione da 40 miliardi di euro, a cui si sommano le iniziative di digitalizzazione presenti nelle altre sei missioni per un totale di 48 miliardi complessivi. E di questi fondi, circa un quinto sono riservati alla trasformazione in chiave tecnologica dell’apparato pubblico.

L’occasione per recuperare terreno nella classifica di merito europea per la qualità e la profondità del processo di digitalizzazione, espressa dall’indice Desi, è secondo vari esperti unica. Il gap rispetto agli altri Paesi è infatti ancora significativo, e se la posizione dell’Italia a fine 2022 è in generale migliorata (dal 20esimo al 18esimo posto) è altrettanto vero che il nostro Paese si piazza al 25esimo posto per diffusione di competenze digitali (dato stabile rispetto allo scorso anno) e al 19esimo quanto a digitalizzazione della Pa (in discesa di una posizione).

Le performance tricolori sono di fatto sostanzialmente sotto la media europea e raccontano un Paese che sul digitale rimane indietro nonostante qualche segnale di ripresa. A confermare questo scenario sono del resto anche i Digital Maturity Indexes elaborati dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano, secondo i quali l’Italia è 22esima sui 27 Paesi Ue per sforzi compiuti nell’attuazione dell’Agenda Digitale e 20esima per risultati ottenuti. E se gli indicatori di connettività e di integrazione delle nuove tecnologie sono più che buoni, la curva di crescita della digitalizzazione dei servizi pubblici è invece ancora piatta e riflette anche le forti disparità in essere fra le Regioni del Mezzogiorno e quelle del Centro Nord, con queste ultime che si dimostrano comunque in ritardo rispetto a Regioni europee simili per caratteristiche del territorio e benessere economico.

L’Osservatorio del Politecnico ha inoltre misurato lo stato dell’arte della digitalizzazione di un campione rappresentativo di enti locali italiani riscontrando la tendenza che vede una diretta relazione tra la dimensione dell’ente e la sua capacità di gestione della migrazione dei servizi sul canale digitale. Se guardiamo alla componente di back-office di tutti i principali servizi resi disponibili dai Comuni, questa è digitalizzata almeno nel 50% dei casi e va considerata un prerequisito importante per abilitare l’ente a mettere a sistema (in prospettiva futura) le proprie banche dati per facilitare attività di rielaborazione dei dati a livello locale o centrale. Per quanto riguarda il front-office, la situazione è del tutto diversa, in quanto vi sono servizi largamente digitalizzati (per esempio quelli rivolti alle imprese, anche in ragione di specifici obblighi normativi) e altri, invece, che lo sono poco o per nulla. Nello specifico, solo un terzo delle amministrazioni locali con meno di 2.500 abitanti ha reso possibile un’interazione digitale con il cittadino al cospetto di un 74% di enti con più di 50mila abitanti che invece ha sviluppato servizi le cui pratiche possono essere svolte interamente online. L’auspicio è che, sulla spinta dei finanziamenti del Pnrr, si possano compiere ulteriori e significativi progressi sul fronte dei servizi al cittadino e nella fattispecie negli enti locali più piccoli per numerosità di abitanti, che denotano una velocità di crescita dimezzata rispetto a quelli più grandi per quanto riguarda la trasformazione digitale dei propri servizi. Un altro capitolo importante per l’innovazione della Pa è infine quello relativo agli acquisti pubblici, dove gli obiettivi primari sono la digitalizzazione dell’intero processo di procurement (cui è rivolto il nuovo Codice dei contratti pubblici), la riduzione della dipendenza da pochi vendor tecnologici e il taglio delle tempistiche dei tempi di assegnazione delle gare (per cui oggi sono necessari mediamente quattro mesi e mezzo). La necessità di definire una regia di coordinamento sui temi dell’Agenda Digitale, anche in relazione alla cospicua dote di risorse che le Pa locali riceveranno dal Pnrr, appare quindi evidente se si vuole mettere a sistema una serie di “best practice” nell’implementazione dei diversi interventi e favorire le aggregazioni tra enti locali e la collaborazione fra attori pubblici e privati. In gioco c’è il rischio di veder aumentare il divario di digitalizzazione tra le varie aree del Paese.

Fonte: Commissione Europea Desi 2022

CLOUD NAZIONALE, È TUTTO PRONTO PER LA PARTENZA

Già operativi i quattro datacenter per tutti i dati della Pa italiana. Entro il 2026 dovranno gestire i dati di 280 amministrazioni.

Che i dati e i servizi digitali della Pubblica amministrazione italiana dovessero, prima o poi, migrare nella nuvola lo ha stabilito definitivamente la Strategia Cloud Italia varata nel gennaio del 2022 dal Dipartimento per la trasformazione digitale in collaborazione con l’Agenzia per la Cybersicurezza Digitale (ACN). Il cloud computing infatti, è considerato la via maestra per assicurare l’autonomia tecnologica del Paese, garantire il controllo sui dati e aumentare la resilienza dei servizi digitali della Pa, che altro non sono che i tre obiettivi alla base della strategia stessa.

Oggi si può dire che gli elementi e gli strumenti operativi per portare a termine questo grande progetto sono tutti sul tavolo e, anzi, molto è già stato fatto concretamente grazie al Pnrr, che fornirà tutte le risorse economiche necessarie.

L’enorme infrastruttura hardware che costituirà il cuore pulsante dell’intera strategia è già pronta: dallo scorso dicembre, infatti, sono operativi i quattro nuovi datacenter – due nel Lazio (a Pomezia e Acilia) e due in Lombardia (a Rozzano e a Santo Stefano Ticino) – che ospiteranno e gestiranno tutti i dati delle Pubbliche amministrazioni. A loro spetterà il compito di consentire a centinaia di pubbliche amministrazioni di beneficiare di un cloud nazionale che dovrebbe garantire affidabilità, resilienza, scalabilità, interoperabilità e sostenibilità ambientale.

I quattro datacenter sono realizzati a coppie in modo speculare: uno è il backup dell’altro, e nel caso di problemi in un sito entrerebbe in gioco immediatamente la propria copia per garantire la conservazione dei dati e la continuità operativa nell’erogazione dei servizi pubblici a cittadini e imprese. Alle spalle di questa infrastruttura c’è il Polo Strategico Nazionale (Psn), la nuova società costituita da Tim, Leonardo, Cassa Depositi e Prestiti e Sogei. La razionalizzazione che porterà alla dismissione di migliaia di piccoli data center a convergere su soli quattro grandi siti, osservano i vertici del Psn, consentirà di ottenere un risparmio importante sui conti dello Stato, facendo diminuire le spese sostenute oggi dalle Amministrazioni pubbliche per la gestione delle infrastrutture, e dovrebbe concretizzarsi anche in un sostanziale risparmio energetico. La realizzazione dei quattro datacenter è però solo un tassello del complesso puzzle che darà vita al cloud nazionale.

Un altro passaggio ha riguardato la classificazione dei dati divisi tra strategici (vitali per la sicurezza nazionale), critici (comunque importanti per la tutela di società, salute e la sicurezza) e ordinari, ossia quelli la cui compromissione non provocherebbe l’interruzione dei pubblici servizi.

È stato poi necessario qualificare i servizi cloud sui quali saranno appoggiate tutte le operazioni, stabilendo le procedure di controllo sui dati e degli standard tecnici a cui attenersi, con l’obiettivo prioritario di garantire livelli di sicurezza adeguati per i servizi e i dati della Pa.

Per garantire la continuità dei servizi qualificati già in uso alle amministrazioni pubbliche è previsto un periodo di transizione che terminerà il 31 luglio di quest’anno, con un passaggio graduale verso il nuovo sistema.

Dopo il previsto periodo di gestazione, i tempi dovrebbero maturi affinché il cloud nazionale possa prendere vita. Entro il prossimo settembre dovrebbe completarsi la migrazione delle prime 30 pubbliche amministrazioni e tale numero dovrebbe salire a 200 nel 2024 e a 280 entro il terzo trimestre del 2026. Dentro questi numeri vi sono sfide importanti, come il passaggio nel cloud delle infrastrutture dei ministeri, dell’Inps e dell’Inail, delle Regioni e delle aziende sanitarie, oltre che dei comuni con più di 250mila abitanti.

LA MACCHINA PUBBLICA DIVENTA PIATTAFORMA PER L’INNOVAZIONE

Open data, servizi centralizzati, interoperabilità applicativa e cloud i punti chiave per compiere il necessario salto in avanti.

Microsoft accompagna le aziende verso
una protezione multi-cloud e multi-platform

Il cambio di pelle a cui è chiamata la Pa italiana è un passaggio fondamentale soprattutto per ciò che concerne lo sviluppo e l’erogazione di servizi pubblici digitali, partendo da una base “infrastrutturale” che risponde al modello cosiddetto “Government as a Platform” e che comprende dataset condivisi, piattaforme centralizzate, interoperabilità applicativa (basata sul modello Api) e standard aperti, soluzioni in cloud per garantire al sistema scalabilità, controllo della sicurezza (di dati e sistemi) ed efficienza nella gestione delle risorse informatiche. Nel 2022, come si legge nell’Osservatorio del Politecnico, sono stati compiuti passi in avanti non trascurabili. L’Anpr (l’Anagrafe nazionale della popolazione residente) è ormai una soluzione consolidata per tutti i Comuni italiani. Il Fascicolo Sanitario Elettronico, attivo dal 2019, non è ancora completamente operativo e interoperabile in tutte le Regioni, ma sono oltre 417 milioni i referti digitalizzati accessibili. Sono circa 60mila, invece, gli open data che popolano il portale dati.gov.it, mentre la piattaforma pagoPA conta di oltre 19mila enti pubblici aderenti, oltre 400 fornitori di servizi di pagamento coinvolti e circa 650 milioni di transazioni effettuate, per un valore complessivo di oltre 126 miliardi di euro.

Lo Spid, il Sistema Pubblico di Identità Digitale che abilita l’accesso a un’ampia gamma di servizi digitali, è utilizzato da un adulto su due e ha registrato nel 2022 oltre un miliardo di accessi, mentre la Cie, la Carta di Identità Elettronica, è stata impiegata 21 milioni di volte. E ancora. L’App IO, che gli italiani hanno iniziato a conoscere nel periodo pandemico, è stata scaricata nel corso dei precedenti dodici mesi da oltre 32 milioni di cittadini mentre gli oltre 12mila enti della pubblica amministrazione presenti nell’App offrono un catalogo di oltre 170mila servizi. Come rilevano gli esperti del Politecnico, molto c’è ancora da fare in tema di interoperabilità, ma se la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (Pdnd), attiva dallo scorso ottobre, manterrà le promesse, si potrà contare sullo scambio automatico di dati tra diverse Pa e sulla connessione dei sistemi informativi e delle basi dati pubbliche. Per quanto riguarda le azioni dedicate all’infrastruttura di cloud computing, infine, il lancio avvenuto lo scorso ottobre del Polo Strategico Nazionale, che ospiterà i dati e i servizi critici delle Pa italiane, ha dato il via al processo di migrazione di dati e applicazioni di oltre 12mila enti locali. L’obiettivo, noto e dichiarato anni fa, che prevede la razionalizzazione degli oltre 11mila data center in esercizio nelle Pa italiane è oggi un poco più vicino.

Fonte: Osservatorio Agenda Digitale Politecnico di Milano

CRESCONO LE MINACCE: SERVONO NUOVE DIFESE PER GLI ENTI PUBBLICI

Nonostante i passi avanti nella protezione dei siti Internet, gli investimenti per la sicurezza informatica sono ancora insufficienti.

Negli ultimi anni le condizioni per la proliferazione di attacchi informatici sono diventate sempre più favorevoli. L’accelerazione dei processi di trasformazione digitale imposta dalla pandemia da Covid 19, con le nuove modalità di lavoro smart all’esterno di aree protette, ha moltiplicato i possibili punti di vulnerabilità delle organizzazioni. Ad aggravare la situazione sono arrivate le tensioni internazionali nate con la crisi Russo-Ucraina, che hanno determinato un’intensificazione delle attività criminali a scopo politico.

E proprio le infrastrutture tecnologiche delle pubbliche amministrazioni sono state e sono tutt’ora l’obiettivo privilegiato di questa nuova ondata di cyberattacchi. Anche la Pa, quindi, è chiamata oggi ad affrontare con nuove strategie e strumenti di difesa sempre più efficienti la sfida della sicurezza informatica a tutela dei propri dati e delle proprie attività.

Ma quanto sta investendo la Pa per la sicurezza informatica? Il quadro complessivo lo fornisce l’Agid (Agenzia per l’Italia digitale), l’Agenzia tecnica della Presidenza del Consiglio che, tra le altre cose, ha il compito di coordinare le amministrazioni nel percorso di attuazione del piano triennale per l’informatica. Nell’ambito dell’indagine “La spesa Ict 2021 nella Pa italiana”, si osserva come la spesa totale in soluzioni e servizi per la sicurezza e la business continuity dei sistemi della Pa abbia superato i 114 milioni di euro nel 2020, in crescita di oltre l’11% rispetto al 2019. Le risorse destinate a questo ambito – previste in leggero consolidamento per il 2022 al momento dell’indagine – appaiono comunque piuttosto contenute, con un’incidenza del 3% rispetto alla spesa Ict complessiva dell’apparato pubblico, se raffrontate al budget destinato alla cybersecurity dal settore privato (che vale il 15-20% della spesa in tecnologie).

Il tema delle risorse economiche che la Pa deve destinare alla cybersecurity è quindi ancora aperto ed è solo un elemento della strategia complessiva: serve infatti una visione olistica che parta dalla consapevolezza dei rischi informatici potenziali e che passi attraverso la pianificazione a lungo termine e la formazione continua degli addetti alla sicurezza.

Fa ben sperare, in proposito, il passo in avanti compiuto dalla Pa italiana sul fronte della sicurezza dei propri siti internet, come rileva il terzo monitoraggio sull’utilizzo del protocollo Https e lo stato di aggiornamento dei Cms (Content management system) nei sistemi degli enti pubblici, realizzato sempre dall’Agid. La percentuale di siti che utilizza una corretta configurazione è più che raddoppiata nel corso del 2022 (da 4.149 a 9.022) rispetto all’anno precedente ed è quadruplicata rispetto al 2020. Oggi solamente l’1% dei siti delle pubbliche amministrazioni non implementa il protocollo sicuro, anche se permane un 41% di casi che presenta “gravi problemi”, ossia siti per cui il protocollo Https è facilmente aggirabile. Tre quarti dei domini che usano un Cms, inoltre, non utilizzano al momento la versione più aggiornata disponibile.


COLLABORARE:
L’ UNICA VIA PER REALIZZARE L’AGENDA DIGITALE

Il processo di digitalizzazione non può prescindere dalla cooperazione fra pubblico e privato e dall’interoperabilità fra enti locali e Stato centrale.

Dalla banda larga alle competenze digitali, dagli interventi di digitalizzazione previsti nell’ambito del Pnrr a quelli sui fondi strutturali: i progetti da scaricare a terra per accelerare l’innovazione del sistema Paese sono molteplici e complessi. La loro implementazione non può quindi che passare attraverso una collaborazione fra una pluralità di attori, sia pubblici che privati, ed è per questo, a giudizio degli esperti del Politecnico di Milano, che si rende necessaria una regia e una governance forte per il coordinamento mirato dei temi contenuti nell’Agenda Digitale. Oltre ai fondi (nell’ordine delle decine di miliardi di euro) previsti dal PianodiRipresae Resilienza in carico alle Pa locali, Regioni e ProvinceAutonome amministreranno direttamente molte risorse complementari, un compito che potrebbe essere svolto al meglio affiancando agli stessi enti locali competenze ad hoc per supportarne l’operatività.

Lasciare in mezzo al guado una componente strategica per lo sviluppo del Paese quale è l’Agenda digitale sarebbe deleterio. Serve invece un presidio autorevole e strutturato sull’attuazione dei vari progetti e serve una strategia di continuità funzionale al mantenimento dell’attuale modello di cooperazione con il territorio, sperimentato con il piano Italia Digitale 2026, che ha messo a disposizione della Pa centrale e locale una rete di figure professionali altamente qualificate. La tecnologia può realmente cambiare volto alla Pubblica Amministrazione azzerando o comunque riducendo la distanza tra enti locali e amministrazioni centrali e la contrapposizione tra pubblico e privato, contribuendo a migliorare la qualità e l’efficacia dei rapporti fra le Pa e fra le Pa e i cittadini e le imprese. Architetture condivise e decisioni assunte con la partecipazione dei soggetti privati, in altre parole, devono prendere il posto di un modello che ha storicamente privilegiato soluzioni frammentate.

La piattaforma PA Digitale 2026 a cui è registrata la quasi totalità dei Comuni Italiani – nata per consentire alle amministrazioni locali di richiedere i fondi del Pnrr dedicati al digitale e rendicontarne i progetti (a fine 2022, tramite la piattaforma, sono stati erogati circa 1,8 miliardi di euro) – è l’esempio di come si possa rendere complementare l’azione pubblica e quella privata e come trasformare la sfida della digitalizzazione in un progetto di interesse comune.

Fonte: Osservatorio Agenda Digitale Politecnico di Milano

PA DIGITALE È SINONIMO DI CAPITALE UMANO

Il rafforzamento delle competenze è una priorità del processo di transizione tecnologica del sistema Paese.

Il dato da cui partire è contenuto nell’indice Desi 2022 per quanto riguarda l’ambito tematico del capitale umano, area nella quale l’Italia registra ancora un grave gap rispetto alle principali nazioni Ue, collocandosi al terz’ultimo posto nella graduatoria europea, davanti solo a Bulgaria e Romania. In particolare, l’Italia risulta fanalino di coda in materia di competenze avanzate nella digitalizzazione (con un punteggio di 15/100) e di laureati nel settore dell’Information e Communications Technology (con una percentuale dell’1,4% sul totale, rispetto alla media europea del 3,9%), confermando le risapute difficoltà che incontrano le imprese private ma anche gli enti pubblici quando si tratta di arruolare ed assumere personale qualificato.

E invece, come spiega in modo approfondito il Rapporto Fomez PA 2022 elaborato dal centro studi dell’omonimo istituto, materie quali l’intelligenza artificiale o i Big Data sono tasselli fondamentali ed irrinunciabili del percorso di trasformazione che porterà a una modifica profonda dell’assetto economico, sociale e culturale del Paese, con impatti significativi anche sull’attività di cittadini e pubbliche amministrazioni. L’obiettivo di un’Italia digitale che possa reggere il passo con i Paesi più avanzati trova quindi consistenza rispetto a due direttrici, la reingegnerizzazione dei processi interni della PA e dei rapporti dei suoi diversi enti con il mondo esterno (la prima) e il circolo virtuoso dell’apprendimento di nuove competenze digitali di singoli individui e imprese (la seconda). La qualità del capitale umano di cittadini, lavoratori e leader e la capacità di utilizzare le nuove tecnologie per inserirle in modo efficace ed efficiente nell’operatività quotidiana saranno cioè determinanti per vincere la sfida della digitalizzazione. Al netto degli importanti e significativi passi in avanti compiuti sulla strada della transizione tecnologica, una delle priorità del sistema Paese è dunque recuperare il grave ritardo accumulato sul fronte delle competenze digitali, ritardo che rappresenta di fatto il principale ostacolo per il cambio di passo dell’apparato pubblico, sia a livello centrale che (soprattutto) locale. Un capitale umano poco digitalizzato, come evidenzia non a caso il rapporto di Formez, si traduce spesso e volentieri in una scarsa o nulla capacità dei cittadini di usufruire delle infrastrutture digitali e dei servizi messi a disposizione dalla pubblica amministrazione e limita le PA nell’obiettivo di far evolvere i propri servizi, ostacolando anche il reperimento di personale altamente specializzato. Investire sul capitale umano rappresenta quindi la chiave di volta affinché la transizione digitale non rimanga incompiuta e in tal senso lasciano ben sperare le risorse previste dal Pnrr e più precisamente i fondi resi disponibili nelle Missioni 1 e 4, che prevedono investimenti per la digitalizzazione della PA, l’acquisizione delle competenze digitali da parte dei cittadini (in particolare le conoscenze di base) e l’ampliamento dell’offerta accademica nel settore delle nuove tecnologie.


LA PRODUTTIVITÀ VOLA NEL CLOUD.
L’ ESEMPIO DI PROVINCIA DI PADOVA

Con Microsoft 365, l’ente pubblico ha reso più efficiente il servizio di posta elettronica per oltre 40 Comuni e avviato l’uso della piattaforma Teams per condividere online documenti e progetti.

Un progetto importante, che abbraccia ad ampio spettro soluzioni di comunicazione e di collaborazione interessando diverse decine di Comuni e oltre un migliaio di utenti. L’intervento di razionalizzazione deciso la scorsa estate dalla Provincia di Padova è un validissimo esempio di come la trasformazione digitale possa diventare non solo l’occasione per adottare software e servizi all’avanguardia in un ambiente fatto di applicazioni legacy di terze parti ma anche una grande opportunità di ripensare e rendere più efficienti alcuni processi chiave attraverso un’attenta opera di trasferimento di competenze, nella fattispecie guidata dal team IT del Centro Servizi Territoriali (CST), la struttura che garantisce supporto e assistenza tecnico informatica ai piccoli enti locali del territorio. L’esigenza di partenza, come spiega Luca Dainese, co-responsabile Sistemi Informativi di Provincia diPadova, era quella di portare in cloud il servizio di posta elettronica gestito dal Centro per conto dei Comuni convenzionati e garantire continuità operativa a tutti gli enti interessati dalla migrazione. Il progetto è partito a giugno 2022 con l’intento di implementare una soluzione che fosse non solo migliorativa rispetto alla precedente in termini di produttività ma anche in linea con i requisiti definiti dal piano triennale di Agid, al quale devono riferirsi tutte le pubbliche amministrazioni. La scelta di puntare sulle tecnologie di Microsoft ed in particolare sulle funzionalità di Microsoft 365 è stata facilitata dalla disponibilità di una convenzione Consip che proponeva per l’appunto una soluzione completa di collaboration adatta a soddisfare il piano di trasformazione definito dalla Provincia e condiviso con gli oltre 40 enti locali che l’hanno seguita in questo progetto. Nel complesso si parla di oltre 40 domini di posta e circa 1.200 licenze che hanno preso il posto di un servizio on premise (basato su Microsoft Exchange e utilizzato da circa 250 dipendenti della Provincia) e di un altro applicativo di terze parti (appoggiato su un server proprietario) adibito a gestire i flussi di comunicazione dei Comuni.

LE CRITICITÀ SUPERATE E I BENEFICI RAGGIUNTI

L’iter di migrazione si è chiuso a fine dicembre scorso con lo switch off del vecchio sistema e a inizio gennaio 2023 la soluzione di posta elettronica è andata “live” superando del tutto, anche grazie al diretto supporto di Microsoft, le criticità legate all’integrazione del nuovo servizio con gli applicativi gestionali preesistenti dei vari Comuni, molti dei quali con meno di 5mila abitanti e privi (salvo rare eccezioni) di personale tecnico informatico interno. Una delle maggiori complessità del progetto ha riguardato per l’appunto il cambio dell’interfaccia utente, risolta con un’estesa attività di formazione a favore degli addetti coinvolti (sistemisti e utilizzatori finali sia interni che esterni), mentre un altro importante risultato raggiunto è l’avvenuta migrazione in cloud del servizio di posta senza alcuna perdita di dati e senza interruzioni del servizio stesso. Oggi il sistema può trarre beneficio da una nuova e più avanzata modalità operativa (accessibile anche in versione mobile tramite app dedicata) che gestisce caselle nominative personali (nel rispetto della norma che richiede l’accountability delle attività effettuate dal singolo soggetto) e assicura maggiore sicurezza alle caselle dipartimentali che prevedono un accesso tramite password condivisa.

CON TEAMS PER COLLABORARE IN REAL TIME

Se la maggiore produttività del sistema e la maggiore protezione del flusso delle informazioni è stato il primo vantaggio conseguito con l’adozione di Microsoft 365, l’ampia disponibilità di applicativi integrati nella suite, come ricorda ancora Dainese, ha permesso a Provincia di Padova di valutare altre possibilità di innovazione dei processi di collaborazione e in modo particolare per le sessioni di videoconferenza, per la messaggistica istantanea e la condivisione di file e documenti fra più gruppi di lavoro, anche di enti diversi. I primi utenti ad adottare Microsoft Teams sono stati i componenti dell’area It di Cst con l’obiettivo (raggiunto) di facilitare la comunicazione interna e verso l’esterno e di estendere progressivamente l’adozione della piattaforma a tutti i Comuni, sbloccando via via nuovi servizi e creando le condizioni per gestire un ambiente di collaborazione in completa autonomia e libero dalle criticità indotte dalla presenza di soluzioni miste. Ridurre i costi, uniformare le risorse informatiche disponibili e tenere il passo dell’evoluzione tecnologica, avvalendosi di una guida competente (il team It del Cst) per la trasformazione digitale e di soluzioni (quelle di Microsoft 365 nel caso specifico) in grado di abilitare in modo semplificato questo percorso: è questa la sfida da vincere per la Pa locale e la Provincia di Padova è sicuramente una best practice da prendere a riferimento.